Dal 2003 promuovo una maggior cultura e conoscenza sulle operations di service post-vendita/field service nazionale/internazionale in ambito industriale.
In molti OEMs del comparto service (field/post-vendita) beni strumentali/impianti industriali (non solo grandi organizzazioni, ma anche PMI), si osserva da tempo una dinamica che rischia di apportare scarso valore aggiunto all’azienda e ai suoi clienti: la moltiplicazione di livelli manageriali (supervisori, coordinatori, gestori) che sono più formali che realmente efficaci.
Il risultato?
– titoli altisonanti negli organigrammi e biglietti da visita, responsabilità-trasversabilità (anche HSE) elevate, ma nel contempo autonomia ed autorità sempre più limitate
– poca autonomia decisionale in particolare lato prevenzione, miglioramento, potenziamento organizzativo-esecutivo, attuazione di lessons learned
– distanza crescente tra chi guida e chi lavora sul campo
Il paradosso più evidente riguarda anche la relazione con il cliente: che viene spesso gestita a distanza, non sempre per efficienza, ma per evitare talvolta fastidi-pressioni-solleciti (es. un cliente pressante, esigente o peggio insoddisfatto) e/o mitigare-diluire responsabilità, rischi esecutivi. In questo modo però si perde il contatto con la realtà (e qualità) del servizio (che rappresenta, il proprio ed altrui lavoro “di cura” da erogare al cliente in difficoltà !), con i problemi veri da risolvere, e soprattutto con le persone (clienti paganti e proprio personale in campo, che di frequente richiedono una immediata, continua estensiva attenzione-assistenza, talvolta complicata da importanti differenze di fuso orario tra la casa madre dell’OEM e il sito cliente dove sono in corso i lavori).
Questa riflessione è avvalorata da tutta una serie di ricerche personale (inserzioni di lavoro) che si leggono ad esempio su LinkedIn e che mi confermano una tendenza sempre più diffusa del comparto service industriale:
- inserire tra la leadership aziendale e gli operativi uno strato crescente di middle e line managers (spesso ascrivibili ai lavori descritti dal celebre antropologo David Graeber, con inquadramenti contrattuali depotenziati e salari deflazionati rispetto ad un tradizionale manager d’ufficio/reparto), il cui ruolo-autorità principale non è tanto quello di migliorare “fattivamente-organicamente” l’organizzazione o l’esecuzione, quanto quello di rivestire una mera funzione “operativa-facilitatrice” in processi-strutture organizzative complesse (spesso sottodimensionate o inadeguate rispetto al carico e tipologia di lavoro tecnico-gestionale-esecutivo da sovraintendere), oltre alla mansione di interfaccia tra le figure apicali con i propri team operativi, ma soprattutto con il cliente (il tutto, ripeto, con basso grado di autorità, autonomia, ma elevata trasversabilità, reperibilità, responsabilità esecutiva, HSE, oltre che abnegazione nel raggiungimento degli obiettivi di performance economica)
Fa riflettere (imprenditorialmente parlando) rilevare quanto sia in aumento nelle aziende (grandi,medie, piccole) che erogano attività di field-service/post-vendita, l’attenzione (spesso spasmodica) organizzativa-funzionale-gerarchica atta ad evitare il contatto diretto tra la leadership e il cliente, (talvolta anche solo via telefono/e-mail), soprattutto quando quest’ultimo non è soddisfatto del servizio o prodotto ricevuto e innesca reclami.
Da lavoratore, ti rendi conto di appartenere a questa categoria di “responsabili supervisori, coordinatori, gestori depotenziati, d’interfacciamento” quando, nonostante il titolo manageriale altisonante (magari in inglese, così da far presa sui clienti, convinti di interloquire con “qualcuno di realmente autorevole”), non disponi di autorità gerarchica reale (il personale a tua disposizione non risponde direttamente a te, ma dipende e va quasi sempre autorizzato da altro responsabile di funzione), né di deleghe né del minimo potere o autonomia di spesa.
Inoltre sta via via emergendo la prassi d’incaricare per tali ruoli, sempre più impiegati amministrativi e/o generici (purchè laureati), mentre in passato almeno si vagliavano profili di ex specialisti tecnici (tradizionalmente periti industriali) sia lato formazione (meccanica, elettrotecnica, elettronica, etc.) che percorso lavorativo pregresso.
Ma non è tutto.
Questa stessa logica viene spesso traslata negli organigrammi “moderni” anche per altri “non nobili” scopi che spesso danneggiano l’azienda nel medio lungo termine.
Mi riferisco al creare multilivelli gerarchici non tanto per prevenire problematiche o gestire meglio i rischi, ma per diluire le responsabilità in caso di crisi operative (escalations, claims, penalties, back-charges, liquidated-damages e/o peggio sinistri).
Credo che qualunque imprenditore concordi con me che sia tempo di riportare al centro la sostanza (ed il coraggio di fare il manager, director, officer fino in fondo senza troppi scudi spesso solo di “carta”):
- meno filtri gerarchici e burocrazia da organigramma
- più responsabilità reale-diretta e distribuita dove realmente serve (all’azienda, ma anche al cliente)
- più dialogo diretto, sia verso il team che verso il cliente
Il valore del service industriale si misura dall’esecuzione e risultato sul campo, non dal numero di fatture (e relativi ricavi, profitti) comunque pagate da un cliente insoddisfatto (che però in futuro non acquisterà più da noi), ma soprattutto non in organigrammi costruiti per proteggere anziché guidare.
Serve più coraggio manageriale. Meno show, più leadership vera. Ma soprattutto non basta più comandare dall’alto (con l’attenzione volta principalmente all’estrazione di “Profits ed Executive Bonus”); serve invece essere coinvolti assieme a chi opera dal basso (mercato) e si interfaccia quotidianament con i clienti.
P.S. questo articolo declinato al service industriale non è l’ennesimo “sfogo del lavoratore”, ma si fonda ed ispira al classico ed illuminato manuale di management (La Piramide Rovesciata) scritto dall’ex presidente della SAS (compagnia aerea di bandiera scandinava) Jan Carlzon (il quale negli anni 80 si assume la guida di un’azienda in crisi, con il morale dei dipendenti basso, una quota di mercato a rischio e numerosi conti in rosso, e nel giro di un solo anno la trasforma nell’impresa leader in Europa)