Non Tutte le Linee di Service Industriale sono Redditizie

In anni di pregressa attività lavorativa ho avuto modo di specializzarmi nella vendita, gestione, esecuzione di complessi contratti e progetti (nazionali/esteri) su commessa nel service post-vendita industriale in particolare lato beni strumentali/sistemi “software-intensive” (customer care, site/field, after-sales, aftermarket, lifecycle) operando sempre con una forte attenzione rivolta a ridurre ed evitare i rischi e le criticità tipiche del comparto, in particolare in quest’ultimo periodo che ha visto la nascita di un nuovo paradigma di business (ancora scarsamente diffuso in Italia) per gli OEMs basato sulla servitizzazione manifatturiera.

Un modello innovativo già in uso da più di un decennio nel comparto software/hardware dei moderni sistemi informativi (basato sinteticamente su un meccanismo di sottoscrizione “paghi per l’uso” con service post-vendita incluso nel canone) ma potenzialmente rischioso per i fornitori di beni strumentali industriali che ad oggi non sono stati sistematicamente in grado di vendere e gestire profittevolmente il proprio service post-vendita basato ancora su pratiche commerciali e contrattuali più tradizionali basate su contabilizzazioni economiche principalmente a misura (soprattutto per le attività in campo internazionali) e solo in parte a corpo.

E’ risaputo che gli end-user sono diventati molto più esperti e attenti ai costi. Oggi molti dei responsabili di impianto, stabilimento e manutenzione (che sono poi gli interlocutori principali per chi si occupa delle vendite di servizi tecnici) vedono il service industriale moderno offerto dai fornitori come indispensabile, anche se a volte eccessivamente costoso-pervasivo e che (se non regolamentato) alla lunga potrebbe esternalizzare parte delle loro mansioni, pertanto tendono (comprensibilmente) a mostrare interesse solo per un numero limitato e mirato di servizi sufficienti per essere supportati principalmente nelle situazioni più complesse e/o di emergenza.

Per tale motivo (pur consapevoli di veder rigettata l’offerta) è necessario presentarsi dal potenziale cliente (end-user) sempre e solo con una proposta commerciale di valore ed integrata (stando ben attenti a valutare le richieste di estensioni di garanzia su componenti, sistemi, equipaggiamenti e macchinari datati), senza scorporare o frammentare (anche in termini economici) la linea di servizio offerta, pena il rischio di finire relegati nella sola vendita (anti economica) di singole ma dispendiose attività delle quali elenco una piccolissima parte a titolo di esempio:

  • ricerca di un numero limitato e mirato di componenti commerciali difettosi fuori produzione (il business del service industriale per essere sostenibile deve essere in grado di vendere anche set mirati e completi di ricambi, lasciando al mercato dei broker di materiale le ricerche mirate di singoli componenti commerciali sciolti ed osboleti)
  • incarichi per la risoluzione “spot” di singole e croniche problematiche tecniche (senza far sottoscrivere un accordo di assistenza e manutenzione almeno annuale)
  • offerta gratuita di supporto telefonico ed e-mail (in orari di ufficio) senza che venga sottoscritto un accordo di assistenza e manutenzione (ritenendo erroneamente che il semplice servizio e-mail/telefonico vada fatto pagare solo fuori dall’orario lavorativo, salvo poi scoprire che il cliente “furbetto” sarà da li in poi libero di impegnare-monopolizzare (senza limiti di tempo) al telefono/e-mail il personale tecnico/commerciale ogni qualvolta avrà un problema (il più delle volte banale), sottraendolo magari da altre attività di supporto ai clienti paganti con contratto)
  • avvantaggiarsi commercialmente comunicando al cliente oltre ai canali telefonici/e-mail dedicati al service anche i riferimenti di contatto diretti dei propri responsabili aziendali. Prassi che servirà solo a tagliar fuori l’organizzazione di service post-vendita preposta ed innescare continue e caotiche escalations interne (e relative disfunzionalità organizzative nel breve-medio termine anche per tutti gli altri interventi di field service in preparazione e/o già in corso)
  • disponibilità all’invio “spot” di tecnici in campo dietro semplice richiesta del cliente (fatturato a misura/consuntivo) senza che venga anche sottoscritto un contratto di reperibilità, assistenza e manutenzione per i futuri interventi (fondamentale per coprire i costi di supporto-analisi tecnica, lifecycle-management/RCA specifici per la sua base d’installato)
  • micro lavori di sostituzione componentistica obsoleta (phase-out) o ammodernamenti (upgrade, retrofit, revamping) di piccola entità (e fatturato/marginalità) comparati al valore e complessità del prodotto oggetto dell’intervento. Attività che non serviranno altro che a far riaccendere onerose-rischiose garanzie, magari su un sistema/equipaggiamento/macchinario ampiamente già a fine vita (che poteva quindi essere riammodernato integralmente o addirittura rimpiazzato con uno nuovo!!). Tale problematica la segnaliamo anche alle numerose startup/società di informatica che si sono buttate (senza pregressa esperienza contrattuale, esecutiva nell’automazione industriale) nel settore Industria 4.0/Manutenzione 4.0, ritrovandosi poi anche loro invischiate (alla stregua degli OEMs) nelle sempre più frequenti dispute commerciali sulle cause dei fermi macchina
  • interventi in garanzia perchè il cliente ritiene (a volte senza dare evidenze o permettere una valutazione contradittoria) che le precedenti attività tecniche in campo (field-service) non sono risultate soddisfacenti o hanno procurato successivamente altre problematiche
  • noleggio di strumentazione da campo senza richiedere la presenza del tecnico; o noleggio/affitto dei pezzi di ricambi più costosi (rifacendosi grossolanamente agli emergenti modelli di business della servitizzazione manifatturiera, che sono in realtà ben altra cosa) sino alla richiesta per la creazione di un magazzino ricambi conto deposito da parte del fornitore (senza che sia poi garantito da parte del cliente l’acquisto dei materiali al termine del contratto)
  • interventi di field service senza contabilizzazione a misura delle ore e oneri di viaggio, vitto, alloggio (sostituiti dal cliente con un ammontare a forfait)

Esistono anche convenzioni contrattuali (a “scalare” o a “gettone”) con le quali gli uffici acquisti (che sanno fare bene il loro mestiere) accrescono (sulla carta) semplici esigenze “spot” per interventi e ricambistica (solitamente in emergenza) trasformandole (per incentivare il fornitore di service industriale) in corposi ed articolati accordi quadro (anche dall’ammontare importante) di reperibilità, assistenza e manutenzione programmata, ma vincolati nell’effettiva esecuzione e fatturazione (specialmente per le manutenzioni preventive, predittive) dal rilascio di ordini supplementari specifici per l’intervento.

Il che si traduce poi per il fornitore nell’avere nell’anno un’ entrata ordini potenziale (da parte del singolo cliente) con un ragguardevole ammontare massimale specificato “idealmente” sulla carta, salvo poi arrivarne a fatturare solo una piccola parte, magari dopo aver anche affrontato difficoltà logistiche e operative inaspettate (senza tralasciare eventuali extra-costi non previsti, o peggio assumere ulteriori tecnici di field service da dedicare al contratto che non verranno poi impiegati al massimo della loro disponibilità temporale).

Quanto sopra sono solo banali esempi delle limitate e pertanto anti economiche richieste che potrebbero scaturire quando si contatta per la prima volta il proprio cliente per promuovere e vendere anche forniture e contratti stutturati per il service post-vendita industriale, come quelli sotto indicati:

contratti annuali per il supporto telefonico, e-mail, monitoraggio, diagnostica, e assistenza remota per la base installata

  • contratti annuali per interventi tecnici in campo (anche in complessi contesti project-based EPC, heavily regulated countries, marine, harsh/hazardous areas & hostile environments)
  • forniture di set completi di ricambi
  • fermate manutentive minor e major (durante turnaround, shutdown ed outage)
  • manutenzioni preventive/predittive con l’ausilio di strumentazione da campo
  • installazioni, cablaggi, avviamenti e messe in servizio (commissioning, startup, handover) anche in contesti (appalti/subappalti) EPC
  • test e collaudi (system, string e performance test)
  • manutenzioni, riparazioni, revisioni e ricondizionamenti
  • accordi quadro e contratti di service a lungo termine (reperibilità telefonica, pronti a partire, LTSA)
  • progetti di ammodernamento (upgrade, retrofit, revamping, replacement, expansion) lato componenti, dispositivi, sistemi, architetture per aumentare il ciclo di vita della base installata
  • progetti di ammodernamento Industria 4.0/Manutenzione 4.0 (upgrade, retrofit, revamping, IT/OT integration, OT/SCADA/IACS/ICS cybersecurity) software-intensive necessari per attivare nuovi servizi industriali digitali (rivolti alla manutenzione predittiva) di monitoraggio, diagnostica, e assistenza remota per la base installata
  • consulenze per l’ingegneria di manutenzione, affidabilità, continuità di servizio
  • servizi di root cause analysis (RCA) ed ingegneria forense
  • formazione ed addestramento
  • noleggio e taratura di strumentazione da campo
  • studi, ricerche e comparazioni di componentistica equivalente per la gestione di obsolescenze

Chi opera nel comparto dei beni strumentali industriali deve sempre aver ben chiaro che l’obiettivo commerciale “fair-equilibrato” di chi vende contratti di service post-vendita industriale non è creare eccessive-opportunistiche rendite all’azienda per la quale lavora (che è la base della spesso discutibile “subscription-economy” di molte aziende del digitale, media, telco), ma di aiutare realmente-concretamente (fidelizzando) il cliente (rendendosi disponibili-presenti solo quando veramente serve) senza cercare di sostituirsi completamente al loro personale manutentivo interno, avendo però ben chiaro, d’altro canto, che la propria organizzazione di service ha anche dei costi importanti (mensilmente) da coprire.

Costi che crescono in base al numero di tecnici di field service a disposizione (in particolare se questi non sono sempre impegnati in campo e rimangono su centro di costo in attesa di commesse) o perchè si è voluto dotare il proprio magazzino di un numero elevato di ricambi a pronto per far fronte alle emergenze, ma che rimangono poi invenduti a fine anno.

Ma Stiamo Realmente Facendo Service Post-Vendita Industriale ??

Dal 2003 promuovo una maggior cultura e conoscenza generale sulle operations di service post-vendita nazionale/internazionale in ambito industriale.

Mi piace ogni tanto andare contro corrente, lontano dal sensazionalismo di molte analisi di mercato e studi accademici che si trovano su internet (fin troppo ottimistiche rispetto alla quotidiana realtà lavorativa) inserendo nei nostri case-history, anche esempi di prassi operative di service da evitare, oltre alla descrizione di alcune criticità tipiche del comparto, in particolare nelle medie e grandi aziende dove inizia a diventare elevato il numero di clienti, stakeholders, transazioni ed escalations (un termine elegante e professionale per indicare dagli addetti ai lavori “emergenze e crisi”) da gestire.

E’ sufficiente navigare su internet e visitare i vari siti web aziendali per realizzare che ormai ogni impresa, dal piccolo rivenditore industriale al grande OEM appartenente alla multinazionale di turno, è ormai da anni dotato di un’efficiente e strutturata organizzazione (magari H24/365) per il service post-vendita industriale. Ma se andiamo a grattare via lo spesso strato di marketing, scopriamo che in molte realtà le cose sono ben diverse e ancora ferme ai modelli organizzativi degli inizi anni 90 (quando per la prima volta si è iniziato a parlare di service nel comparto industriale e le prime organizzazioni post-vendita minimali venivano denominante uffici servizi assistenza tecnica “SAT”).

Tralasciando le organizzazioni dove il service post-vendita non è ancora diventato un centro di profitto (perchè magari si teme di perdere i clienti a fargli pagare oltre al prodotto anche l’assistenza…) ed è costituito essenzialmente da un servizio “spot” di assistenza in campo operato da personale interno di produzione (gestito solitamente dal commerciale), oltre che dal supporto telefonico erogato direttamente dall’impiegato di turno dell’ufficio tecnico (e fuori dall’orario lavorativo direttamente dal titolare), concentriamo la nostra analisi invece sulle aziende con volumi di affari “Service” importanti (almeno come percentuale di fatturato).

E’ mia prassi, prima di accettare ogni nuovo incarico fare una fotografia ed analizzare il reale stato strutturale, organizzativo e di performance dell’organizzazione di service post-vendita industriale che andrò a supportare con i miei interventi consulenziali ed esecutivi. Tra le varie analisi una delle più importanti è il concorso delle varie linee di servizi (commercializzabili) alla generazione del volume d’affari post-vendita.

Sembra anomalo (se confrontato con quello che si legge sensazionalisticamente su internet), ma nella realtà molte organizzazioni (piccole e grandi) che credono di operare da anni con successo ed elevati volumi e marginalità nel service sono in realtà ancora semplici estensioni del tradizionale business basato sulla vendita di nuovi prodotti (commercializzazione).

Questo perchè il grosso del giro d’affari scaturisce principalmente da attività di installazione, montaggio, cablaggio, messa in servizio, avviamento e vendita ricambi (principalmente) per “nuovi” sistemi, equipaggiamenti, macchinari, mentre solo una minima parte è generata dallo sfuttamento dell’intero ciclo di vita della propria “vecchia” base di installato e quindi da un portfolio “contratti strutturati” per prestazioni manutentive complesse in campo (field service/lifecycle) e progetti di ammodernamento (upgrade, retrofit, revamping, replacement, expansion).

Tutto ciò si traduce che quando la produzione ha un calo del lavoro (fenomeno molto frequente negli ultimi anni a causa del susseguirsi di varie crisi internazionali) e quindi una diminuzione del fatturato per nuovi prodotti lo stesso avviene lato vendita di servizi, facendo venire meno l’effetto calmierante (cuscinetto) che il service post-vendita dovrebbe anche ricoprire nei momenti di congiuntura economica negativa.

E’ innegabile che i fatturati dei montaggi, cablaggi, messe in servizio, avviamenti possano essere in alcuni casi considerevoli e con marginalità almeno doppie rispetto alla vendita di prodotto e possano pertanto divenire strutturali al raggiungimento di obiettivi economici di performance dei reparti service, oltre che fonte di reinvestimento (nelle aziende illuminate) per accrescerne l’organizzazione. Cionondimeno introducono una distorsione sui reali obiettivi dei business per il post-vendita che è invece quello di sfruttare continuativamente opportunità (anche minime) di fatturato e raccolta di profitti per l’intero ciclo di vita del prodotto (a meno che non sia più conveniente e redditizio sostituirlo col nuovo).

Esiste poi il problema della “complessità tecnica” che contraddistingue le messe in servizio e gli avviamenti, perchè il prodotto va fatto funzionare per la prima volta (con tutte le incognite del caso) e potrebbe (anzi sicuramente) presentare criticità progettuali inaspettate o essere carente (capita molto più spesso di quanto si crede) di funzionalità e specifiche contrattuali perchè oggetto di recenti varianti in corso d’opera che non è stato possibile testare completamente (tipico nelle produzioni di equipaggiamenti/macchinari ETO/One-of-a-Kind e sistemi d’automazione discreti/elettromeccanici/meccatronici con una preponderante componente “software-intensive”).

Il fatto poi che la messa in servizio, avviamento non sia più gestita dal reparto di progettazione/produzione introduce delle latenze operative ed organizzative tra il service (che non può essere a conoscenza di tutto l’excursus progettuale, magari della durata di diversi mesi), il team di ingegneria interno (che si ritrova ora magari completamente ed urgentemente impegnato su un nuovo progetto) ed il cliente che si aspetta velocità e rapidità di esecuzione nell’affrontare ogni problematica sul campo per partire/ripartire con la produzione.

Un’altra componente che declassa a semplice ufficio di assistenza tecnica (stile anni 90) molte delle organizzazioni di service post-vendita industriale di molte aziende nazionali è l’incapacità di operare fuori dall’orario lavorativo o durante le festività con quasi gli stessi livelli di performance offerti nei normali orari di lavoro settimanali.

Questo può essere (forse) normale per i clienti in Europa, accettabile per chi opera nelle aree degli emirati, medio oriente (la domenica qui si lavora e si riposa il venerdì), ma non è più sostenibile quando la differenza di fuso orario (oltre che dei periodi di ferie e festività) inizia a farsi importante (Stati Uniti, America Latina, India ed Estremo Oriente).

In questi casi molte delle organizzazioni service cessano momentaneamente di performare adeguatamente relegando a pochi volenterosi tecnici progettisti e venditori/gestori/operatori che da soli in ufficio, a casa il week-end o comunque principalmente fuori dall’orario lavorativo si ritrovano a tamponare telefonicamente o per e-mail il temporaneo depotenziamento dell’organizzazione per la quale lavorano. Anche e soprattutto per tali motivi di carente sincronizzazione oraria-lavorativa serve sempre pensare allo sviluppo di service centers di prossimità ai clienti (almeno per i più importanti).

La stessa criticità è poi ancor più amplificata per i tecnici trasfertisti (field service engineers) e i vari gestori-coordinatori “expat/resident” sul campo che devono pazientare (a volte facendo fronte a grandi pressioni dei clienti) in attesa della riapertura degli uffici in sede per essere nuovamente supportati tecnicamente e logisticamente.

Pro & Contro del Service Post-Vendita Industriale

Dal 2003 promuovo una maggior cultura e conoscenza sulle operations di service post-vendita/field service nazionale/internazionale in ambito industriale.

Mi piace ogni tanto andare contro corrente, lontano dal sensazionalismo di molte analisi di mercato e studi accademici che si trovano su internet (fin troppo ottimistiche rispetto alla quotidiana realtà lavorativa) inserendo nei miei case-history, anche esempi di prassi operative di service da evitare, oltre alla descrizione di alcune criticità tipiche del comparto, in particolare nelle medie e grandi aziende dove inizia a diventare elevato il numero di clienti, stakeholders, transazioni ed escalations (un termine elegante e professionale per indicare dagli addetti ai lavori “emergenze e crisi”) da gestire.

Il business dei contratti di service post-vendita industriale (soprattutto in tempi di forte concorrenza e continua decrescita economica) rappresenta in via generale (nonostante le numerose difficoltà per attuarla) la miglior strategia commerciale per integrare sensibilmente il proprio fatturato con nuove linee di ricavi, accrescere i margini e migliorare la soddisfazione del cliente, fidelizzandolo in vista di nuovi forniture e progetti.

I vantaggi sono molteplici, perchè l’offerta di service post-vendita industriale (anche se limitata nei volumi di fatturato) se eseguita integralmente, professionalmente e fedelmente secondo le aspettative della clientela, rimane comunque maggiormente reddittiva rispetto alla vendita del prodotto, scalabile nel medio termine, fortemente personalizzabile, meno soggetta alle competizioni sul prezzo, difficilmente replicabile (se basata sul capitale di conoscenze tecniche e di utilizzo del prodotto) e soprattutto sostenibile, durevole nel lungo periodo oltre che programmabile in funzione della dimensione della propria base installata.

Esiste inoltre un vantaggio commerciale non indifferente perchè la relazione di service genera quasi sempre un contatto molto più stretto e continuativo con il cliente (e con i numerosi attori della sua organizzazione, oltre che in taluni casi con i suoi stessi clienti finali) rispetto alle tradizionali relazioni basate sulla vendita di prodotto, il più delle volte limitate alla sola trattativa commerciale (oltre che quasi sempre relegata al solo personale degli acquisti e progettazione). In questo settore i venditori più performanti sono il più delle volte anche gli ex gestori dei contratti (after-sales project & service managers oltre ai tecnici di field service) che hanno deciso di abbracciare il mondo delle vendite.

Sappiamo anche che non è semplice, rapido ed economico attuare tale strategia (in particolare nei periodi con forti limitazioni agli spostamenti, viaggi ed incontri di business) dal momento che la stessa richiede un drastico cambio di cultura, organizzazione e competenza aziendale. Innanzitutto vendere servizi è completamente diverso dal vendere prodotti (in particolare per chi da anni è abituato a vendere, regalando sistematicamente il servizio “post-vendita” come concessione supplementare o extra sconto nelle trattative commerciali), inoltre una semplice attività di service (se mal gestita) può impattare il più delle volte in maniera rapida, inaspettata e trasversale su tutta l’organizzazione aziendale, oltre che scalare verticalmente sino ai vertici dell’azienda (escalations).

Anche le aziende più strutturate che da anni lavorano con centri di profitto basati sul service industriale vivono di frequente un intensa tensione tra le business unit di progettazione-produzione prodotto (commercializzazione) e post-vendita (after-sales, aftermarket, field-service). Principalmente per dispute sulle disponibilità delle risorse trasversali condivise (solitamente magazzino, spedizioni, ingegneria e produzione) o per i vicendevoli scarichi di garanzie, costi e oneri vari a difesa del proprio conto economico di commessa e reparto.

Purtroppo molte imprese hanno nel tempo sottovalutato l’impatto culturale, commerciale ed organizzativo del service post-vendita moderno (oggi sempre più nuova fonte di ricavi e non più centro di costo come in passato) relegando ad un numero sottodimensionato di coordinatori, operatori front-office, back-office e tecnici di assistenza (field service engineers) la gestione di richieste cliente e l’esecuzione di complessi interventi in campo. Ritrovandosi a volte con l’organizzazione service isolata dal resto dell’azienda (che continua ad operare secondo i tradizionali paradigmi prodotto-centrici ) e con l’attenzione rivolta eccessivamente alla performance economica (generazione di fatturato e salvaguardia delle marginalità), il più delle volte a discapito della soddisfazione cliente.

Così facendo queste imprese commettono il tipico errore di chi vuole operare nel business del service post-vendita (ma ne farebbero probabilmente a meno), dimenticando che il servizio rappresenta a tutti gli effetti una vetrina ed un biglietto da visita della propria attività, oggi ancor più della propria forza commerciale, della capacità produttiva o delle caratteristiche e funzionalità avanzate di prodotto.

Con il risultato di deteriorare nel tempo i rapporti con i clienti (per non parlare del continuo avvicendamento del personale addetto) a causa dell’insoddisfacente livello di servizio offerto, danneggiando nel contempo l’immagine globale della propria azienda e prodotto, con conseguente calo degli ordinativi per nuove forniture.

P.S. il tema del rischio reputazionale aziendale (un tipico indicatore è il non riuscire a rimanere a lungo all’interno delle vendor-list dei propri clienti a causa della carenza di risorse chiave per operare e/o per il decadimento qualitatitivo del proprio prodotto e servizio) è stato ripreso in Italia dalla recente normativa sulla crisi d’impresa e sugli adeguati assetti organizzativi che introduce delle apposite check-list, oltre ad interessanti KPI per valutare l’operato organizzativo-esecutivo-gestionale-finanziario di un’azienda (oltre a tutta una serie di utili warning per intercettarne anticipatamente l’eventuale entrata in stato di crisi).

Il valore insostituibile dei tecnici di field service come ambasciatori del service post vendita industriale

Nel comparto altamente competitivo delle applicazioni per l’automazione industriale, della conversione statica di potenza (settore in forte crescita grazie ai piani EU Green per l’elettrificazione ed idrogeno) e dei beni strumentali industriali, dove innovazione, qualità e affidabilità dei prodotti richiedono ingenti e continui sforzi economici, (nonostante i volumi di fatturato e le marginalità siano sempre più sotto pressione) il service post vendita assume un ruolo strategico di crescente importanza.

Oltre alla fornitura di componenti, sistemi, equipaggiamenti, macchinari e attrezzature all’avanguardia, le aziende “lungimiranti” si stanno concentrando sempre di più sulla creazione di relazioni di fiducia e sulla soddisfazione del cliente a lungo termine (obiettivo che con la sola propria forza vendita tradizionale sta diventando sempre più difficile da attuare). In questo contesto, i tecnici di field service sono diventati un prezioso punto di riferimento e, al tempo stesso buoni venditori di contratti service e ricambistica.

In questo post, esplorerò sinteticamente (il tema è molto più ampio, complesso ed articolato) il motivo per cui i tecnici di field service sono fondamentali anche per il “successo commerciale” del servizio post vendita industriale.

I tecnici di field service (in particolare quelli senior) rappresentano la perfetta combinazione di conoscenze tecniche approfondite e capacità di comunicazione eccezionali. Sono gli esperti sul campo che conoscono a fondo i prodotti, tecnologie dell’OEM per il quale da anni lavorano, ma soprattutto gli ambiti di utilizzo (e i relativi limiti-problemi) presso i clienti finali e possono risolvere efficacemente molti dei loro problemi funzionali, manutentivi e produttivi. Questa competenza tecnica consente loro di fornire un supporto ad elevato valore aggiunto, perchè mirato, rapido ed efficiente, facendo risparmiare tempo e denaro ai clienti (o in certi casi aumentando anche la produttività-affidabilità delle linee-processi produttivi/manifatturieri).

Grazie alla loro vasta esperienza e alla familiarità con i prodotti supportati in campo, i tecnici di field service sono in grado di promuovere, illustrare in modo convincente i benefici dei contratti per i “servizi tecnici” oltre all’acquisto della ricambistica originale.

La fiducia è un elemento essenziale in qualsiasi relazione commerciale di successo, e i tecnici di field service più capaci e performanti sono soliti guadagnarsi la fiducia dei clienti attraverso la loro professionalità, la competenza e l’impegno per una risoluzione rapida dei problemi (sarà capitato a tutti i gestori del post-vendita sentirsi richiedere dal cliente sempre e solo quel tecnico particolare per ogni intervento). Poiché lavorano a stretto contatto con i clienti sul campo (a volte per settimane o mesi come nel caso delle messe in servizio più complesse), sviluppano relazioni personali e instaurano un rapporto di fiducia, diventando così i migliori ambasciatori degli OEMs. Questa fiducia è fondamentale per convincere i clienti ad adottare contratti di service a lungo termine e a preferire i prodotti di ricambio originali rispetto a quelli di terze parti.

Questo perchè i tecnici di field service sono i primi a rendersi conto dei vantaggi dei contratti di service a lungo termine e dell’utilizzo di ricambi originali. Essendo direttamente coinvolti nella messa in servizio, ricerca guasti, manutenzione e in certi casi anche nella riparazione dei prodotti. Sono pertanto i primi testimoni delle conseguenze di una manutenzione insufficiente o di ricambi di bassa qualità. Questa consapevolezza li porta a promuovere attivamente i contratti di service e l’utilizzo dei ricambi originali come una soluzione preventiva per evitare costosi guasti o interruzioni della produzione (oltre a ridurre i loro viaggi per interventi in emergenza, che sono quasi sempre un fastidio per lo stesso tecnico di field…..). La loro influenza sulle decisioni di acquisto dei clienti è inestimabile, poiché possono fornire testimonianze concrete dei benefici tangibili derivanti dall’adesione a contratti di service estesi e strutturati.

Per garantire che i tecnici di field service siano costantemente all’avanguardia e in grado di fornire il miglior supporto possibile ai clienti, è però necessario investire in un programma di formazione continua e raccogliere il loro prezioso feed-back dal campo, anche e soprattutto quando l’asset avviato, manutenuto presenta ricorrenti-cronici difetti funzionali (suggerisco sempre di farli accedere al CRM aziendale in modo da integrare e scambiare il loro know-how con il team commerciale service) . La tecnologia e le innovazioni industriali avanzano rapidamente, e i tecnici devono essere preparati ad affrontare le sfide emergenti. La formazione continua non solo li mantiene aggiornati sulle ultime tecnologie, ma migliora anche le loro competenze di vendita e comunicazione. Questo li abilita e li rende maggiormente sicuri nel promuovere in modo convincente il service e la ricambistica originale come parte integrante del pacchetto di assistenza post vendita.

Nella moderna strategia di service post vendita industriale, i tecnici di field service ricoprono un ruolo cruciale come ambasciatori del marchio (l’OEM tradizionalmente prodotto-centrico deve comprendere che al mercato non solo è più sufficiente mostrare capacità ingegneristica e produttiva, se poi il service è sotto dimensionato o peggio inadeguato). La competenza tecnica del reparto service, la fiducia guadagnata attraverso relazioni di lungo termine con i clienti, la promozione attiva dei contratti di service e l’utilizzo della ricambistica originale sono fattori determinanti per il successo a lungo termine delle aziende produttrici di beni strumentali industriali.

Riconosciamo pertanto il valore insostituibile dei tecnici di field service e continuiamo a investire nella loro formazione (anche di stampo commerciale) e sviluppo, poiché questo equivale ad aumentare la soddisfazione dei clienti e il successo del business.

Safety-First!

Di tanto in tanto, in qualche post sul service industriale, mi piace lasciare qualche piccolo ‘Tips’ lato HSE (chi ha lavorato in particolare nelle commesse USA/Japan sarà abituato sin dagli anni 90 ai famosi “Workplace/Safety-First Tips” di fine riunione)

Per non incorrere in operazioni-manovre potenzialmente rischiose in campo-cantiere, le aziende devono sempre affidarsi al vecchio adagio “ad ognuno il proprio mestiere” evitando di deputare (per urgenze e/o savings economici) tecnici di field service con prevalente esperienza-competenza nel digitale (discipline elettroniche, elettriche-segnali, sistemistiche, software) ad operazioni di esecuzione, coordinamento, supervisione (ricoprendo così senza i necessari requisiti di idoneità anche i delicati ruoli di preposto) per lavori di montaggio (dove sono richiesti muletti, carri ponte, gru, PLE) e cablaggi di potenza.

**P.S. leggendo alcuni annunci di lavoro su LinkedIn per elettronici-meccatronici-elettromeccanici industriali junior il mercato del lavoro sembra purtroppo (lato HSE e qualità del lavoro) andare nella direzione opposta, visto che si ricercano anche singoli-giovani tecnici con competenze unificate da montatore-aggiustatore meccanico, elettricista cablatore, sistemista-programmatore PLC. Tali professionisti naturalmente esistono, sono rari e sono il più delle volte dei senior con una decina d’anni di trasferte in campo-cantiere e/o attività manutentiva di fabbrica-impianto alle spalle

Stesso discorso con i ruoli al contrario. E’ potenzialmente rischioso avvalersi di esperti montatori meccanici e cablatori elettrici incaricandoli (senza le necessarie competenze) di effettuare, coordinare, supervisionare lavori (che presuppongono l’energizzazione dei quadri elettrici ed il movimento manuale anche parziale di organi automatici degli equipaggiamenti) di collaudo, pre-commissioning, commissioning, assistenze tecniche, manutenzioni specialistiche.

**P.S. anche se noto a tutti gli operatori dell’industria, ricordo che tra bassa tensione (BT) e media tensione (MT) non c’è diretta-immediata intercambiabilità professionale (in particolare nel passaggio tra BT e MT) se non dietro estensivo specifico addestramento teorico-pratico ed idonea esperienza in affiancamento

Per i non addetti ai lavori, i tecnici di field service (i famosi trasfertisti operai, tecnici, periti, ingegneri) non sono figure tecniche intercambiabili-secondarie-marginali, ma seri e validi professionisti (dotati spesso di una specifica specializzazione/verticalità) che per operare autonomamente ed in solitario (spesso dall’altra parte del pianeta, in nazioni disagiate e senza il supporto di prossimità dell’azienda per la quale lavorano), hanno saputo negli anni apprendere (quasi sempre On-the-Job), distillare e concentrare le necessarie competenze tecniche-ingegneristiche multi-disciplinari necessarie a collaudare, avviare, riparare, manutenere complessi sistemi-equipaggiamenti progettati da diversi uffici d’ingegneria applicativa (meccanica, elettrica, elettromeccanica, elettronica, sistemi, R&D, etc.)

Come affrontare per le organizzazioni di service post-vendita industriale il problema dell’elevato turnover di personale nel field service

Tutti i reparti di service post-vendita industriale hanno appreso da pregresse esperienze che i dipendenti addetti agli interventi di field service che forniscono il miglior servizio tecnico in campo, cantiere, remoto (e-mail, telefono, tele-assistenza, etc.) possono quasi sempre scegliere tra le migliori opportunità lavorative presenti sul mercato, e che più la squadra di field service è efficiente, più è vulnerabile alle lusinghe (potenziali nuove opportunità di lavoro) offerte dalla concorrenza o dallo stesso cliente finale (a volte lo si capisce quando iniziano a richiedere solo e sempre quel particolare tecnico per ogni intervento).

Per evitare l’elevato turnover tipico del comparto i reparti post-vendita “illuminati” rendono la gestione del talento una priorità assoluta e progettano iniziative per reclutare, formare e trattenere i loro manager e tecnici di “Field”.

Nel service per componenti, sistemi, equipaggiamenti, macchinari, impianti industriali complessi e tecnologicamente avanzati (per non parlare di quelli software-intensive), dove sono richiesti skills rari oltre ad una vasta e continua esperienza sul campo non è quasi mai vero l’assunto del tutti sono sostituibili e nessuno è indispensabile.

Per mantenere i veri talenti, i migliori reparti di service progettano percorsi di carriera interessanti e gratificanti e offrono una varietà di incentivi finanziari e non finanziari. Inoltre, sviluppano processi chiari per la pianificazione del personale, la gestione del talento e il reclutamento, e creano piani di carriera flessibili e a lungo termine in particolare per i tecnici di field service. Prevedendo inoltre che dopo una decina di anni non siano più (probabilmente) disponibili per operare sempre all’estero in campo, cantiere e che desiderino ambire ad un nuovo qualificato ruolo in sede presso la casa madre.

In Italia si sono persi negli anni un numero molto elevato di tecnici altamente specializzati ed esperti, che stanchi di operare perennemente in reperibilità, trasferta (anche i trasfertisti hanno o vogliono mettere su famiglia…) sono stati allontanati dalle aziende per le quali hanno lavorato, obbligandoli a reiventarsi in ruoli che a volte nulla hanno a che vedere con il loro pregresso iter professionale o a trasferirsi con tutta la famiglia come expat per lavorare nelle fabbriche-impianti che avevano precedentemente avviato e manutenuto per anni.

Ricordiamoci (se vogliamo fare realmente service post-vendita industriale) che una squadra di field service talentuosa migliora l’efficienza del reparto, aumenta la qualità e “sicurezza sul lavoro” durante gli interventi, riduce i costi operativi/organizzativi e aumenta il fatturato (e relativi margini, profitti) stimolando nel contempo una continua domanda per tutte le linee di service offerte dall’OEM (il field service è a mio avviso da sempre il miglior partner dell’ufficio commerciale).

Inoltre e’ comprovato che per molti paesi, le differenze nella penetrazione del business service/post-vendita che si possono osservare per un OEM dipendono più dalla qualità delle squadre di field service locali/di prossimità che da qualsiasi altro fattore.

Concludo che costruire e trattenere il talento del field service non è solo un problema di risorse umane da risolvere tatticamente, ma è un piano strategico che proietta l’azienda avanti rispetto alla concorrenza.

P.S. consiglio sempre alle organizzazioni di impegnarsi nell’approfondimento della nuova ISO 31030 (travel risk management) oltre che della più generale ISO 31000 (in combinazione con la OSHAS 18001 ed ISO 45001) anche e soprattutto per i lavoratori trasfertisti in solitario

Come ridurre i rischi per il personale viaggiante anche derivanti dall’uso delle tecnologie digitali in contesti esteri complessi (heavily regulated countries, adversary/hostile environments)

**Articolo indirizzato a personale viaggiante commerciale, gestionale e nomadi digitali (difficilmente-parzialmente applicabile ai tecnici trasfertisti che adottano tools complessi-evoluti-avanzati su piattaforma Windows**

In tempi più recenti è aumentato nuovamente il rischio nei viaggi e permanenze in nazioni estere a causa del repentino aumento dei conflitti regionali e del degrado nelle relazioni internazionali tra molti paesi una volta ritenuti sicuri. Per tale motivo oltre a sviluppare una maggior cultura geopolitica (e qui le tecniche e strumenti OSINT possono essere d’aiuto) consiglio sempre alle organizzazioni (che si avvalgono di personale viaggiante, come nel caso del service industriale “field/post-vendita”) di impegnarsi nell’approfondimento della nuova ISO 31030 (travel risk management) oltre che della più generale ISO 31000 (in combinazione con la OSHAS 18001 ed ISO 45001) anche e soprattutto per i lavoratori trasfertisti in solitario.

Inoltre è sempre meno da sottovalutare in contesti complessi (con elevato grado di controllo, sorveglianza del personale straniero, trattamento in passato riservato al solo personale politico-diplomatico, VIP, ONG e del giornalismo investigativo, ma oggi applicato ad un numero molto più elevato di tipologie di viaggiatori business, accademici e turistici) l’uso degli strumenti digitali PC e smartphone (anche personali) da parte di personale viaggiante. Tecnologie digitali che se usate in maniera non consapevole (anche della sola legislazione nazionale dove si risiede temporaneamente per lavoro) possono mettere a rischio la privacy e la conseguente sicurezza (non solo informatica, ma anche personale) dei tecnici, gestori, commerciali in trasferta (per non parlare del rischio esfiltrazione delle informazioni di natura personale, tecnica, commerciale, contrattuale contenute nei dispositivi digitali).

Anche per tale motivo mi sto specializzando in informatica libera (Open Source) e tecnologie digitali aperte, robuste, sostenibili soprattutto per proteggersi dai ransomware, salvaguardare maggiormente la propria privacy e migliorare l’anonimato in rete oltre che dalla pervasività, dipendenza, disinformazione, condizionamento, manipolazione, ingerenza (e relativi rischi psicologici, sociali, sicurezza, frodi) derivante dall’uso delle piattaforme-servizi internet (sia da PC che da telefonia mobile).

Una delle soluzioni più semplici (minimaliste) ed economiche è basata principalmente sul riuso dei vostri PC obsoleti (e se possibile ricondizionamento attraverso l’installazione di SSD, in grado di velocizzare il computer) e formattazione con il sistema operativo Linux (in particolare distribuzione Debian 12 Bookworm e l’installazione di solo software libero Open Source)”. Chiaramente tale soluzione non è attuabile per i laptop utilizzati dal personale trasfertista tecnico (che utilizza avanzati software su Windows).

Con questa tipologia di computer Linux customizzato (che utilizzo come PC sicuro dal 1998 come “sand-box” per le e-mail e per proteggermi dai primi malware) “almeno Intel Core 5 a 64 bit con 4 GB di RAM” (più sicuro e maggiormente preservatore di privacy-anonimato) posso poi formare e addestrare all’utilizzo consapevole del web per favorire una maggior sicurezza informatica, affrontando tematiche cruciali legate alla navigazione online come la violazione della propria privacy, la profilazione, il monitoraggio, condizionamento ed eventualmente la sorveglianza.

A titolo di esempio ricordo (per chi non è un addetto ai lavori di missioni/trasferte internazionali in aree extra EU) alcuni semplici e banali istruzioni:

I laptop, i tablet, i lettori di e-book, gli smartphone e persino i telefoni cellulari standard (dumb-phones/feature-phones) portati all’estero possono essere soggetti con successo a attacchi e compromissioni attraverso malware, strumenti di attacco automatizzati ed IMSI catcher (molti aeroporti sono dotati di tali tecnologie proprio per intercettare le prime telefonate del personale viaggiante non appena scende dall’aereo e chiama casa, il proprio ufficio e/o contatto locale). Ricordate inoltre che il software di sicurezza proprietario, anche quando completamente aggiornato, potrebbe non essere in grado di prevenire tali compromissioni [i telefonini che cifrano le conversazioni vocali telefoniche sono cose da film e comunque vietati ogni dove, anche se ricordo negli anni 90 in determinati aeroporti europei (nelle aree commerciali delle partenze) la vendita di prime tali tecnologie].

I dispositivi elettronici sono altresì suscettibili di manomissione fisica o furto, specialmente se lasciati incustoditi (ad esempio, quarantene hardware per adempiere ai processi interni di industrial cyber security prima di accedere all’impianto/stabilimento – controlli supplementari negli aereoporti – accesso non autorizzato dei dispositivi lasciati in una stanza d’albergo o in una cassaforte, io stesso ricordo già agli inizi anni 90 tali controlli e perquisizioni sia in aeroporto, hotels che si estendevano dagli indumenti in valigia al resto della mia attrezzatura informatica e di misura elettronica). D’altro canto, portare continuamente con sé laptop o altri dispositivi elettronici potrebbe aumentare il rischio di smarrimento o dimenticanza accidentale, o di furto da parte di un ladro o borseggiatore. Si consiglia comunque di tenere i dispositivi digitali con sé il più possibile (oltre al passaporto ed una copia digitale-cartacea dello stesso oltre che del VISA).

I dispositivi trasportati attraverso i confini internazionali possono essere soggetti a una revisione governativa ufficiale e persino a una duplicazione completa (ad esempio, in alcuni paesi, gli ufficiali doganali (o molto più frequentemente i responsabili IT della sicurezza di un’infrastruttura critica) potrebbero temporaneamente mettere in quarantena il dispositivo e conservare potenzialmente una copia dell’intero sistema all’ingresso o all’uscita).

L’uso della crittografia potrebbe essere vietato in alcuni paesi. Ad esempio, mentre certi contesti lavorativi continentali-occidentali per tutelare i propri dati richiedono esplicitamente prassi di crittografia dell’intero disco per proteggere le informazioni personali, professionali su laptop, alcuni paesi non consentono invece l’importazione/esportazione di dispositivi criptati. Anche se alcuni prodotti di crittografia dell’intero disco, consentono di tentare di nascondere limitate partizioni di disco criptate, tali tentativi possono comunque essere rilevati, e mentire in risposta alle domande degli ufficiali di frontiera sulla presenza di partizioni di disco criptate potrebbe costituire un potenziale reato grave.

L’accesso a determinati siti web (evitare rigorosamente tutto ciò che è potenzialmente compromettente…non vado oltre), compresi alcuni popolari siti web di social media occidentali, potrebbe essere tecnicamente bloccato. I siti web sicuri (“https”) e l’uso di reti private virtuali istituzionali (“VPN”) potrebbero essere bloccati in alcuni paesi, poiché risulta più difficile alle autorità nazionali monitorare quel traffico crittografato (senza andare lontano provate su alcuni carrier-network digitali nazionali Svizzeri a lanciare un accesso remoto via SSH, e potrebbero bloccarvi la navigazione se non addirittura il contratto-servizio se insistete). Tentativi di eludere la censura nazionale (ad esempio, con proxy, Tor o tecnologie simili) potrebbero essere bloccati e/o puniti se rilevati. Non installare mai software-app locali! (e se proprio dovete usate un nuovo telefono dedicato e rirpristinatelo da zero una volta ritornati a casa…consiglio se proprio dovete portarvi addietro il numero di telefono personale usate un dumb-phone/feature-phone solo con contatti ICE nella rubrica).

I contenuti digitali personali come foto, riviste digitali, libri sono da limitare (anche in nazioni moderne, democratiche ed avanzate potrebbero essere rilevate delle banali violazioni ad esempio del diritto d’autore) in quanto considerati irrispettosi-oltraggiosi della cultura locale (non lasciate inoltre attivo l’accesso a portali, piattaforme, cloud o comunque rapidamente accessibili con password memorizzata in maniera automatica sul browser).

P.S. anche fare gli attivisti sui social nei confronti di tematiche sensibili per una determinata nazione e poi doversi trovare nella condizione di soggiornarci per lavoro (sempre che vi rilascino il VISA, dal momento che il vostro profilo potrebbe essere stato profilato a priori) non è consigliabile (usate sempre i social con attenzione a maggior ragione se la vostra professione richiede di viaggiare in tutto il mondo).

Una maggior cultura, consapevolezza ed attenzione sui potenziali rischi di viaggio e permanenza del personale tecnico trasfertista

Nei miei precedenti incarichi lavorativi l’argomento della sicurezza del personale tecnico viaggiante mi ha sempre coinvolto quotidianamente in prima persona, dapprima direttamente come trasfertista e successivamente come coordinatore e gestore di attività di site/field service (cantieri, fabbriche, impianti, navi, piattaforme offshore). In più di 25 anni nel comparto ho avuto modo di accumulare tutta una serie di esperienze professionali che mi hanno fatto comprendere quanto le operazioni di preparazione e gestione trasferta necessitino di un continuo miglioramento ed adeguamento globale ai mutevoli contesti internazionali presso i quali si andrà ad operare con il proprio personale. Sono pertanto un forte sostenitore che tali operazioni non debbano essere coordinate, gestite, amministrate, dirette da solo personale Junior o non sufficientemente esperto della materia/mestiere come a volte si legge sulle inserzioni di lavoro più recenti.

Il tema delle attività in trasferta internazionale (in particolare extra EU in nazioni emergenti, contesti disagiati) è da sempre poco noto soprattutto ai non addetti ai lavori (anche la stessa AIRE non dispone di vere e proprie percentuali per rappresentare l’elevato numero di migliaia di “expats” costituito dai trasfertisti “resident/long-stays” del comparto macchinari, fabbriche manifatturiere, impianti industriali, navale, edile, etc.) e ci si accorge dell’esistenza dei nostri numerosi connazionali lavoratori all’estero ahimè solo in presenza di sinistri (operai, tecnici, periti, ingegneri professionisti non solo in grado di montare e mettere in servizio macchinari complessi, ma il più delle volte anche capaci di dirigere “on-site” la costruzione ed avviamento “da zero” di grandi fabbriche ed impianti completi in aree fortemente isolate, disagiate e/o pericolose).

Probabilmente le cause di questa scarsa conoscenza del “mestiere” di tecnico trasfertista oltre che delle relative problematiche, criticità e rischi professionali sono da imputare in parte ad una scarsa cultura aziendale (quasi sempre solo prodotto-centrica oltre che orientata a valorizzare maggiormente le risorse d’ufficio/fabbrica con percorsi di carriera più strutturati/articolati a discapito di quelle impiegate in campo nelle trasferte) sulle operazioni in campo, ma soprattutto ad una legislazione (legge 81) che è sufficientemente chiara e completa nell’ambito degli adempimenti di sicurezza per la propria sede produttiva (al solito, lavoro in fabbrica/ufficio) o nelle attività cantieristiche da titolo IV (es. operazioni lavorative operate da un elevato numero di squadre altamente organizzate e coordinate direttamente in sito sul territorio nazionale), ma che a mio avviso è incompleta (lato comprensione e casistiche contemplate) nelle parti relative a “singoli lavoratori viaggianti” che eseguono attività specialistiche direttamente (in maniera spot o continuativa) presso i clienti industriali in ambito nazionale ed estero (anche se con i recenti interpelli sull’obbligo del preposto per i lavoratori in solitario, la normativa inizia a comprendere meglio le operazioni in trasferta).

Da quando esiste il testo unico, uno degli adempimenti immediati da affrontare lato sicurezza è individuare chi sia per ogni trasferta lavorativa tecnica il dirigente, preposto e lavoratore (su tali nomine e sulla confusione normativa per chi effettivamente ricopre “di fatto” di volta in volta tale ruolo a guida/tutela/sorveglianza dei singoli trasfertisti in missione ci vorrebbe un articolo dedicato, anche se con gli interpelli sopra citati si rafforza invece la necessità di avere uno o più preposti itineranti dedicati a vigilare con ispezioni random in tutti i siti lavorativi).

Incarichi che vanno sempre, subito ed ininterrottamente supportati dai team HR e HSE (oltre che dal resto degli enti aziendali che potrebbero venir coinvolti nelle operazioni di field-service) per facilitare e condividere le ulteriori importanti responsabilità assunte da chi riveste di volta in volta questi ruoli (chi opera nel settore saprà già per certo che quanto sopra descritto è solo il punto di partenza per dar via a tutte le fasi di analisi, preparazione ed esecuzione per individuare/evitare/mitigare i rischi tipici/probabili dell’attività specialistica che si andrà a svolgere all’estero in campo).

Ma c’è poi un altro tema lato legge 81 (chi si occupa di organizzazione, gestione trasferte dovrebbe anche studiarsi tutta una serie di sentenze della cassazione, in modo da ricordarsi di non prendere mai sotto gamba il proprio benestare “frettoloso” allo spostamento-viaggio di un tecnico, anche se dettato da forti pressione del cliente o della propria direzione) che la pandemia ha fatto emergere ed è quello della “trasferta in sicurezza” intesa anche come “viaggio, logistica e permanenza in sicurezza all’estero” che ha messo in evidenza i limiti organizzativi di molte aziende (soprattutto quelle più piccole) che già operavano da tempo in ambito internazionale essenzialmente grazie alla grande esperienza professionale del proprio personale trasfertista senior in grado di muoversi e organizzarsi agevolmente oltre confine con un buon livello di autonomia e conoscenza/attenzione dei rischi professionali specifici della missione.

Infatti chi come lo scrivente ha iniziato da ragazzo negli inizi anni 90 ad andare in trasferta (anche in aree a rischio, isolate, disagiate o con forti/rigide regole sugli usi/costumi locali e restrizioni agli spostamenti) ha imparato da solo autonomamente (a volte seguendo le indicazioni/istruzioni dei colleghi senior o apprendendo dai propri errori e situazioni impreviste) a viaggiare e lavorare in “sicurezza” con un supporto non sempre continuativo dalla casa madre (non esistevano e-mail e telefonini, a volte la linea fissa internazionale era solo alle poste ed i voli per determinate città erano solo settimanali) e soprattutto evitare disagi e rischi in nazioni socialmente, culturalmente ed economicamente molto diverse dall’Europa. 

Dal 2000 in poi l’estremismo religioso, i conflitti/crisi regionali, il terrorismo, i rapimenti e l’aumento della micro criminalità (derivante da situazioni di crescente povertà/disuguaglianza sociale) hanno reso più pericoloso e complicato spostarsi “da soli” per lavoro (senza la necessaria preparazione e supporto in loco) in certe aree del pianeta e solo le grandi aziende più strutturate come gli EPC contractor che operavano già da tempo all’estero in aree a rischio hanno ulteriormente potenziato e strutturato la loro organizzazione per rendere ancora più sicure le trasferte del proprio personale e dei propri fornitori subappaltatori.

Questa evoluzione non è purtroppo avvenuta di pari grado in molte PMI che solo in parte hanno saputo strutturarsi per gestire al meglio le operazioni del proprio personale viaggiante (perlopiù affidandandosi all’organizzazione messa in piedi dai clienti ed agenti locali).

La scossa finale è stata data dal covid-19 che ha obbligato giocoforza anche queste imprese a strutturarsi per farsi carico integralmente dell’organizzazione delle proprie trasferte con un livello di preparazione, attenzione, dettaglio e cura precedentemente impensabili (chi se la sarebbe sentita, legge permettendo… di inviare senza la necessaria completa e precisa organizzazione logistica i propri colleghi in contesti con situazioni sanitarie e tensioni sociali altamente a rischio).

Oggi è sempre più in aumento il numero di PMI che hanno ripreso ad inviare i propri tecnici in trasferta (non in tutte le nazioni ovviamente a causa di diffuse crisi politiche-militari) un risultato (impensabile durante i lockdown) che si è ottenuto potenziando la propria struttura interna, affidandosi anche anche a società specializzate in travel security management che già operavano in contesti esteri complessi (heavily regulated countries, harsh/hazardous areas, hostile environments) oltre a consulenti esterni (ex-trasfertisti) esperti nella gestione organizzativa ed esecutiva delle attività di field-service internazionale.

Purtroppo in tempi più recenti è aumentato nuovamente il rischio nei viaggi e permanenze in nazioni estere a causa del repentino aumento dei conflitti regionali e del degrado nelle relazioni internazionali tra molti paesi una volta ritenuti sicuri. Per tale motivo oltre a sviluppare una maggior cultura geopolitica (e qui le tecniche e strumenti OSINT possono essere d’aiuto) consiglio sempre alle organizzazioni di impegnarsi nell’approfondimento della nuova ISO 31030 (travel risk management) oltre che della più generale ISO 31000 (in combinazione con la OSHAS 18001 ed ISO 45001) anche e soprattutto per i lavoratori trasfertisti in solitario

Inoltre è sempre meno da sottovalutare in contesti complessi (con elevato grado di controllo, sorveglianza del personale straniero) l’uso degli strumenti digitali PC e smartphone (anche personali) da parte dei tecnici trasfertisti. Tecnologie digitali che se usate in maniera non consapevole (anche della sola legislazione nazionale dove si risiede per lavoro) possono creare problemi durante le trasferte (esempio usare VPN, messaggistica crittografata o cifrature dei dati sugli hard-disk è diventato illegale in diverse nazioni).

Vantaggi della serviceability per beni strumentali industriali “software-intensive”, applicazioni d’automazione industriale, Industria 4.0

L’Industria 4.0 è un settore in costante evoluzione, spinto dall’adozione sempre più diffusa di beni strumentali/sistemi “software-intensive”. Questi macchinari, equipaggiamenti, sistemi altamente digitalizzati giocano un ruolo cruciale nel migliorare l’efficienza, la precisione e la flessibilità delle operazioni industriali. Tuttavia, è fondamentale garantire che tali tecnologie siano altamente “serviceable”, ovvero facilmente manutenibili e gestibili nel corso del loro ciclo di vita sia dal personale di field service interno che dai manutentori dell’end-user. In questo articolo, esaminerò sinteticamente i vantaggi della serviceability per i beni strumentali/sistemi d’automazione industriale software-intensive e come essa possa contribuire a ottimizzare le operazioni industriali.

Da anni gli OEMs hanno industrializzato e modularizzato (per esigenze produttive e di competitività) i sottoassiemi dei loro prodotti soprattutto lato meccanico ed elettrico, ma chi ha lavorato principalmente lato sistemi (hardware elettronico, embedded, COTS, OT) non sempre ha potuto operare con facilità ed agio in particolare nella ricerca dei malfunzionamenti e guasti. Anzi le attività si sono complicate di anno in anno con il proliferare di numerose nuove tecnologie digitali di un numero crescente di produttori diversi, che hanno ulteriormente frammentato, appesantito e complicato (oltre che reso meno robuste ed affidabili) le architetture di supervisione, automazione e controllo creando cascate di “sistemi di sistemi” sempre più nidificati ed interconnessi tra loro a volte anche in modalità “Spaghetti” (in passato negli inizi anni 90 un tecnico service partiva in missione con un laptop contenente un paio di tools di configurazioni ed un’unica IDE di programmazione PLC, oggi parte con decine e decine di strumenti software, molti in release multiple per poter operare con “backward compatibility” su dispositivi solo di qualche anno più vecchi e magari già in phase-out).

Perchè serve introdurre la serviceability anche lato sistemi software-intensive ?

Riduzione dei tempi di fermo

Una delle principali sfide nell’ambito dell’automazione industriale è minimizzare i tempi di fermo delle apparecchiature e dei processi. La serviceability è essenziale per affrontare questa sfida, consentendo la rapida identificazione e risoluzione di guasti o malfunzionamenti nei sistemi software-intensive. La capacità di diagnosticare e risolvere problemi in tempo reale riduce drasticamente i costi legati ai tempi di inattività non pianificati, migliorando l’efficienza complessiva dell’impianto.

Agilità nella ricerca guasti, aggiornamento e nell’espansione

L’ambiente industriale è in costante evoluzione. La serviceability è fondamentale per consentire agli impianti di rimanere allineati con i cambiamenti tecnologici (senza però ciclicamente mandare i dispositivi in phase-out solo dopo pochi anni da la loro introduzione sul mercato) e le nuove esigenze del settore. I sistemi software-intensive serviceable possono essere facilmente aggiornati o espansi per incorporare nuove funzionalità o adottare nuove tecnologie. Ma soprattutto devono aiutare nell’individuazione di un eventuale malfunzionamento o guasto senza obbligare il tecnico di field a sostituire “ciecamente”, come spesso capita, interi rack elettronici a causa dell’impossibilità di discrimanare quale singola scheda (sottosistema) stia generando il problema (con conseguenti pasticci anche gestionali lato documenti di trasporto e giacenze-contabilizzazioni magazzino interno per la caotica e spesso urgente-non formale consegna [DDT manuali] dei nuovi ricambi e reso [causali errate e mancanza di firme-timbro cliente nei DDT] delle parti sostituite).

Questa agilità è essenziale per rimanere competitivi e adeguati alle nuove sfide.

Maggiore efficienza operativa

Un sistema d’automazione industriale software-intensive che è serviceable è in grado di garantire un funzionamento più efficiente. La capacità di monitorare costantemente lo stato del sistema e di apportare modifiche o correzioni in tempo reale (senza fermare le linee di produzione anche per gli interventi diagnostici più banali) consente di massimizzare la produzione e ridurre i costi operativi. Inoltre, la serviceability permette di identificare e ridurre gli sprechi, migliorando la sostenibilità delle operazioni industriali.

Maggiore sicurezza

La sicurezza è una priorità fondamentale nell’ambito dell’automazione industriale. I sistemi serviceable offrono una maggiore visibilità sulle vulnerabilità e consentono di applicare rapidamente correzioni e patch di sicurezza. In questo modo, si riducono i rischi di violazioni dei dati o di incidenti industriali dovuti a malfunzionamenti dei sistemi.

Riduzione dei costi operativi

Una serviceability ben progettata può portare a una riduzione significativa dei costi operativi. La capacità di risolvere i problemi in modo tempestivo, ridurre i tempi di fermo non pianificati e ottimizzare i processi riduce i costi di manodopera e aumenta la produttività complessiva. Inoltre, la manutenzione preventiva riduce i costi legati alla sostituzione di componenti danneggiati.

Ma non basta operare solo lato architteture di sistema serve anche coinvolgere, preparare, formare, aggiornare i tecnici di field service.

I tecnici di field service svolgono un ruolo chiave nell’assicurare la serviceability dei sistemi d’automazione industriale software-intensive. La loro esperienza sul campo offre una prospettiva preziosa su come questi sistemi possono essere resi più manutenibili e migliorati nel corso del tempo. Ecco alcune considerazioni importanti dal loro punto di vista:

Formazione e Supporto Adeguato: I tecnici di field service richiedono una formazione completa e l’accesso a risorse di supporto affidabili (oltre che del continuo aiuto dei loro project & service manager, che devono avere il tempo di seguire anche le problematiche tecniche-esecutive degli interventi in campo e non solo le parti burocratiche, logistiche e finanziarie dei contratti service). Questo include manuali e method-statements dettagliati, procedure di risoluzione dei problemi e l’accesso (H24) a un team su turni di supporto tecnico dalla casa madre in grado di fornire assistenza in tempo reale. Un organizzazione di supporto ben strutturata contribuisce in modo significativo alla serviceability dei sistemi.

Strumenti di Diagnostica Avanzati: Per risolvere i problemi in modo efficace, i tecnici di field service necessitano di strumenti di diagnostica avanzati (esempio banale: strumenti di diagnostica per Fieldbus..). Questi strumenti consentono loro di identificare rapidamente il problema, riducendo i tempi di fermo e i costi associati.

Aggiornamenti e Patch Semplificati: I tecnici di field service sono spesso responsabili di applicare aggiornamenti e patch ai sistemi in loco. La semplificazione di questo processo è essenziale. I sistemi che consentono agli aggiornamenti di essere applicati senza richiedere una conoscenza tecnica profonda sono estremamente apprezzati (e che permettano inoltre un facile roll-back nel caso l’aggiornamento non vada a buon fine).

Supporto Remoto: La capacità di ricevere supporto remoto da esperti dell’ingegneria di prodotto è un vantaggio significativo per i tecnici di field service. Questo consente loro di affrontare i problemi in tempo reale con più sicurezza e competenza, riducendo al minimo i tempi di fermo. Gli strumenti di controllo remoto (telepresenza/teleassistenza) e l’accesso ai dati in tempo reale sono inestimabili.

Componenti Sostituibili Rapidamente: La serviceability implica la facilità con cui i componenti possono essere sostituiti in loco (oltre alla possibilità di accedere agevolmente a punti di misura per eventuali diagnostiche con oscilloscopio e/o altra stumentazione elettrica/elettronica da campo).

Documentazione Chiara ed Utile: I manuali e la documentazione associati ai sistemi d’automazione industriale dovrebbero essere chiari e dettagliati (non solo una raccolta di disclaimers lato direttiva macchine, utili solo per un ufficio legale). Questa documentazione è uno strumento essenziale per i tecnici di field service e contribuisce in modo significativo alla serviceability.

Feedback dei Tecnici: La voce dei tecnici di field service è preziosa per migliorare la serviceability dei sistemi. Il feedback diretto da chi lavora quotidianamente con i sistemi in loco può portare a miglioramenti significativi (evitiamo le crescenti frizioni tra reparti service post-vendita, ingegneria e commerciale, come sempre più accade).

In conclusione, il punto di vista dei tecnici di field service è fondamentale per comprendere come rendere i sistemi d’automazione industriale software-intensive più serviceable. L’attenzione alle loro esigenze e alle sfide che affrontano quotidianamente può contribuire a sviluppare sistemi più affidabili, facili da mantenere e in grado di ottimizzare le operazioni industriali. La collaborazione tra i progettisti professionisti dell’automazione industriale e i tecnici di field service (e aggiungiamo anche dei manutentori degli end-user) è essenziale per il corretto funzionamento nel tempo di questi sistemi.

Quali sono le difficoltà supplementari nell’eseguire le messe in servizio e fare service, manutenzione su macchinari dotati di sistemi “software-intensive” rispetto a quelli principalmente elettromeccanici ?

Per chi opera nel service post-vendita industriale con le tradizionali competenze in meccanica, elettrotecnica, elettromeccanica, meccatronica è ben consapevole che ci sono ulteriori e molteplici difficoltà nell’eseguire messe in servizio (commissioning-startup), attività di service in remoto-campo e manutenzioni su beni strumentali industriali (componenti, attrezzature, sistemi, equipaggiamenti, macchinari, skids-packages d’impianto) dotati di un crescente numero di elementi “software-intensive”.

Ecco alcune delle principali identificate negli anni:

I sistemi software-intensive sono (ovviamente) intrinsicamente più complessi rispetto ai sistemi elettromeccanici (si tende a parlare di “systems of systems” solo nel comparto difesa, aerospazio, ma ne beneficierebbe ampiamente anche il comparto dei beni strumentali industriali). Questo implica che i tecnici di field service (i lavoratori trasfertisti che operano in campo e cantiere sulla base d’installato degli OEMs ed end-user) devono possedere competenze digitali specifiche (oltre a quelle meccaniche-elettriche-elettromeccaniche-meccatroniche) per comprendere anche il funzionamento del software, diagnosticare i problemi e apportare modifiche (attività prevalente nelle personalizzazioni integrazioni in campo durante le messe in servizio) o aggiornamenti. Ciò richiede una conoscenza della programmazione e dei linguaggi di sviluppo utilizzati (in particolare per modificare codice scritto da altri, il che complica ulteriormente il processo).

Competenze rare visto che buona parte del personale di field detiene skills di programmazione PLC in solo linguaggio ladder e quasi mai abilità con linguaggi ad alto livello o ad oggetti (mentre gli sviluppatori interni d’ufficio tecnico che hanno le competenze non sempre sono disponibili o hanno conseguito le necessarie idoneità professionali per recarsi “in sicurezza” sul campo, cantiere, offshore magari in zone disagiate o a rischio).

L’integrazione tra il software e l’hardware interno alla quadristica di comando-controllo del proprio equipaggiamento-macchinario può essere a volte problematica soprattutto nei progetti ad alta customizzazione (tipici per gli OEMs costruttori di macchine-linee automatiche manifatturiere), One-of-a-Kind, Engineer-to-Order (oltre all’integrazione con gli altri sistemi software-intensive del cliente o di altri fornitori OEMs, che non può essere quasi mai integralmente testata nei collaudi in fabbrica FAT).

Quando si effettua la manutenzione o si sostituiscono i componenti è pertanto necessario assicurarsi che siano compatibili con il software esistente, verificando prima di inviare un eventuale ricambio in sito che sia già stato caricato il firmware/software/file di configurazione corretto. Questo può richiedere l’accesso a specifiche versioni del software o a componenti particolari, il che può complicare il processo di manutenzione (il problema delle revisioni codice, schemi elettrici non tracciate può scoperchiare veri e propri vasi di pandora in molte organizzazioni abituate tradizionalmente a gestire ricambistica essenzialmente elettrica/meccanica).

I sistemi software-intensive sono soggetti a bug e vulnerabilità (oltre a cicliche ri-scalature digitali per il degrado nel tempo di sensoristica-strumentazione analogica) che potrebbero influire sul funzionamento del macchinario. Un bug nel software non individuato durante il commissioning potrebbe causare “sporadicamente” malfunzionamenti o errori nel funzionamento del macchinario stesso (se non addirittura guasti anche gravi o pericolosi sulla componentistica meccanica e di potenza).

Allo stesso modo, le vulnerabilità nella sicurezza del software potrebbero consentire l’accesso non autorizzato o il controllo remoto del macchinario da parte di terze parti. Pertanto, è necessario effettuare aggiornamenti regolari del software e implementare misure di sicurezza per proteggere il sistema (attività tradizionalmente evitate dai manutentori per paura di innescare fermi macchina non rapidamente/autonomamente ripristinabili).

Anche se purtroppo capita di rado, i tecnici che supportano il post-vendita di macchinari software-intensive devono essere adeguatamente e continuamente formati per comprendere il funzionamento dei vari sistemi e risolvere eventuali problemi. Ciò richiede tempo e risorse dell’ingegneria per fornire la formazione necessaria, che può essere più complessa rispetto alla formazione richiesta per i sistemi elettromeccanici tradizionali (quando un tecnico non opera su commessa viene spesato su centro di costo interno, e questo erode i margini di business unit, fenomeno che non sempre piace alle direzioni con un forte orientamento alla sola performance finanziaria).

Inoltre, a causa della rapida evoluzione della tecnologia, è necessario mantenere costantemente aggiornate le competenze del personale anche e soprattutto lato utilizzo strumenti di configurazione digitale, sviluppo software. Tools digitali che possono anche essere decine e decine (in passato gli OEMs si appoggiavano ad un solo principale fornitore per l’automazione-controllo-supervisione con un limitato numero di ambienti di sviluppo-configurazione, mentre oggi i fornitori possono essere molto più numerosi).

Aggiungiamo un elemento da non trascurare anche per l’end-user ed il suo team di manutenzione interno. Per eseguire la manutenzione del sistema software-intensive del fornitore, potrebbe essere necessario accedere al codice sorgente o alla documentazione specifica dell’architettura di sistema (questo è fonte di numerose dispute contrattuali post-vendita). Tuttavia, alcuni OEMs e/o produttori di applicativi software potrebbero limitare l’accesso a queste risorse per motivi di proprietà intellettuale o di sicurezza. Questo può rendere più difficile per i tecnici del cliente finale eseguire determinate attività di manutenzione o risolvere problemi complessi (diventando così sempre più dipendente dal post-vendita del fornitore).

Industria 4.0 e dipendenza dalla connettività: Nei macchinari software intensive, la connettività di rete può essere un ulteriore fattore critico per il loro funzionamento. La mancanza di connessione o problemi di rete (o quelli più insidiosi di “run-time macchina” derivante dalla latenza nell’interscambio-transcodifica dati) possono influire sulle capacità del macchinario o rendere difficile la diagnostica locale, remota e la risoluzione dei problemi. Ciò significa che il personale di field deve essere in grado di affrontare anche problemi di connettività e reti informatiche. E qui si entra nel mondo dell’OT (Operational Technology) dove la complessità delle configurazioni lato networking/modello OSI possono crescere a tal punto da mettere in difficoltà anche un tradizionale esperto di networking IT (senza dimenticare i sempre più numerosi rischi introdotti lato sicurezza informatica “industrial-cybersecurity”, derivanti da settaggi-configurazioni effettuate da personale non sufficientemente esperto in ICT).

Anche le schede elettroniche (non solo la componentistica di potenza… vedi misure di corrente, tensione, termiche, etc) vanno manutenute, a maggior ragione con la crescente difficoltà negli approvvigionamenti dei micro chips. Servono pertanto appositi piani di manutenzione e test della micro componentistica discreta analogica (esistono validi testi sull’affidabilità, manutenzione, riparazione della componentistica elettronica e numerosi articoli tecnici), che vadano oltre alla pulitura-soffiatura con aria compressa delle schede o delle misure sui condensatori di potenza, ma che tengano anche conto (oltre al normale degrado dei componenti) degli ambienti a volte aggressivi lato atmosfera chimica. In tali situazioni (marine-offshore, raffinerie, cementerie-ceramiche, etc.) si può dannegiare irrimediabilemente l’elettronica o peggio innescare sul macchinario comportamenti imprevisti e di difficile diagnostica-individuazione (che il più delle volte non lasciano altra alternativa che sostituire ciecamente rack interi di controllo senza aver individuato le precise cause del guasto, causa urgenza/fretta di ripartire con la produzione).

In sintesi, le principali e supplementari difficoltà nella messa in servizio, service e manutenzione dei macchinari dotati di sistemi altamente software-intensive risiedono nella complessità del software, nei problemi di compatibilità, integrazione, nei rischi di bug e vulnerabilità, nella formazione del personale, nell’accesso al codice sorgente, alla documentazione, e nella dipendenza dalla connettività di rete (oltre che dall’affidabilità delle schede elettroniche/embedded).

Affrontare queste sfide richiede nuove competenze specialistiche (non solo lato team ingegneria, ma anche per i ruoli di project & service managers, commissioning professionals/managers e tecnici di field service), accesso alle risorse appropriate e un’adeguata-continua formazione del personale, ma anche un cambio di paradigma nelle fasi di collaudo interno, ispezione ed accettazione in fabbrica (FAT) che coinvolga più un approccio a V-model (ben noto a chi adotta pratiche di systems engineering) volto all’analisi-funzionalità del software e non solo della qualità delle misure elettriche, prestazioni meccaniche. Per non parlare della serviceability dei componenti, sistemi, equipaggiamenti, macchinari (ma questo è tema di un altro articolo).

P.S. chi è un tecnico d’automazione trasfertista dotato di una buona formazione-competenza anche lato ICT/OT può essere un prezioso aiuto in campo per aiutare le aziende (anche se stranamente il mercato nazionale dei macchinari industriali continua a preferire, lato assunzioni, i tecnici d’automazione di field service più con skills lato montaggi meccanici e cablaggi elettrici…) ad affrontare tali sfide in particolare lato operazioni di service management (field/post-vendita) per avanzati e complessi beni strumentali industriali “software-intensive”, applicazioni (greenfield/brownfield) d’automazione industriale (discreta-meccatronica-elettronica-conversione di potenza) basate sull’uso di azionamenti-motori elettrici, attuatori ed emergenti tecnologie Industria 4.0.

Escalations !! Ovvero l’arte di complicare rapidamente i già complessi processi di service (post-vendita/field service) industriale

Come addetto di lungo corso nel service, desidero promuovere anche una maggior cultura e conoscenza specifica sulle operations di service post-vendita/field nazionale/internazionale in ambito industriale. 

Per questo motivo mi piace ogni tanto andare contro corrente, lontano dal sensazionalismo di molte analisi di mercato e studi accademici che si trovano su internet (fin troppo ottimistiche rispetto alla quotidiana realtà lavorativa) inserendo nei miei case-history, anche esempi di prassi operative di service da evitare, oltre alla descrizione di alcune criticità tipiche del comparto, in particolare nelle medie e grandi aziende dove inizia a diventare elevato il numero di clienti, stakeholders, transazioni ed escalations (un termine elegante e professionale per indicare dagli addetti ai lavori “emergenze e crisi”) da gestire.

In ambito accademico, marketing e direzionale ci sono da tempo bravi professionisti capaci di progettare complessi schemi, flussi e processi funzionali sul come dovrebbe idealmente funzionare una fluida, efficiente, moderna, complessa e scalabile organizzazione di service post-vendita industriale, ma nella realtà dei fatti, ancora oggi, quando si incappa in un escalation e si deve correre per contendersi/accaparrarsi le sempre più limitate risorse necessarie a risolverla (in particolare se l’azienda è ancora fortemente prodotto-centrica), l’esperienza insegna che chi è più in alto nell’organigramma aziendale (o semplicemente urla più forte..) ha le probabilità più elevate di far prevalere all’interno dei vari uffici/reparti le proprie priorità e saltarci fuori rapidamente.

Nell’arco della mia attività lavorativa ho assistito al crescere della pressione sulle organizzazioni service (e post-vendita/field più in generale), innescata principalmente (prima della pandemia) da una progressiva riduzione del tempo (regolamentato contrattualmente) necessario per attivare e far arrivare in emergenza un tecnico e/o ricambio in un impianto/stabilimento/cantiere all’estero. Un fenomeno che per gli addetti ai lavori è sempre stato gestibile (nonostante le crescenti difficoltà logistiche, visto che approvvigionare e spedire rapidamente (24/48/72 ore) uno o più componenti industriali fuori dall’EU non è proprio una passeggiata, in particolare se si lavora “in campo-cantiere” con decine e decine di nazioni diverse ognuna con le proprie procedure “ostative” amministrativo-burocratiche e doganali d’importazione….).

Nel contempo si è rapidamente e parallelamente sviluppata una prassi molto più difficile da controllare, che rischia di minare nel lungo termine l’efficienza ed efficacia di qualsiasi organizzazione internazionale di service post-vendita industriale.

Sto parlando della crescente abitudine di una parte dei clienti finali (per scalare in priorità durante una presunta emergenza) di cercare da subito un canale diretto con commerciale, direzione e proprietà, bypassando di fatto l’intera organizzazione service preposta a supportarli.

Ora se l’organizzazione aziendale globale è solida e coesa, questi tentativi vengono arginati, ma se a livello commerciale o direzionale non si è rapidi e fermi a indirizzare il cliente a seguire i canali dedicati di supporto, gli effetti sono appunto l’innesco di continue e caotiche escalations. Non causate da continui arresti o gravi guasti conclamati della propria base di installato, ma bensì dagli insistenti e reiterati reclami di qualche cliente che (il più delle volte a fronte di semplici allarmi o anomalie tecniche minori) rivendica una maggior priorità per essere subito supportato dal fornitore.

So per esperienza che è sufficiente fare una sola concessione e da lì in poi quel cliente non seguirà più i canali appositi di segnalazione, attivazione e supporto del service (customer care), ma martellerà incessantemente per telefono ed e-mail venditori, direttori e titolari (i quali, con buona probabilità si metteranno a loro volta a esercitare ancora più pressione all’organizzazione post-vendita stessa), fintanto che non verrà spedito il ricambio e/o fatto salire d’urgenza sul primo aereo disponibile anche un tecnico con visto pronto (magari ottenuto per un altro intervento già programmato), mandando in fumo il lavoro di programmazione, schedulazione di molti altri interventi che potrebbero a loro volta venir posticipati in cascata (ogni volta che si richiede un visto, il passaporto viene ritirato da consolato o ambasciata, pertanto in quel periodo il tecnico potrà solo operare in Italia ed EU, e se si lavora principalmente in nazioni extra EU questa è una grave limitazione di risorse con il crescente rischio di aumentare le varianze economiche derivanti dal personale trasfertista che rimane “in attesa in ufficio” su centro di costo interno e non spesato su commessa cliente).

Le escalations (quelle vere, serie e gravi) fanno da sempre parte del business service post-vendita in ambito industriale e nel tempo la loro frequenza è rimasta limitata, ma negli ultimi anni (stando al mio circuito di relazioni professionali) il loro numero sembra invece essere aumentato considerevolmente diventando una delle principali cause del frequente turnover (già normalmente elevato) del personale tecnico (field service engineers) e di gestione clientela impiegato nel comparto.

Le risorse umane hanno da tempo cercato di risolvere il problema inserendo “la capacità di gestire la pressione ed operare durante le escalations” come requisito per ricoprire le nuove posizioni di operations per il service post-vendita, ma senza successo visto che alla lunga un addetto che già si trova quotidianamente esposto (il più delle volte anche fuori dall’orario lavorativo soprattutto se si opera con grandi differenze di fuso orario) alle difficoltà e sollecitazioni prodotte dalle innumerevoli pressanti richieste e problematiche scatenate dai clienti in difficoltà (senza scordarsi dei tecnici trasfertisti in campo che richiedono a loro volta continuo ed immediato supporto in particolare se si persegue il “Duty-of-Care”), difficilmente riuscirà ad avere ulteriore tenuta motivazionale nell’arco degli anni per assorbire sempre più frequentemente anche la crescente pressione che si riceve internamente dalla propria azienda.