Dal 2003 promuovo una maggior cultura e conoscenza sulle operations di service post-vendita/field service nazionale/internazionale in ambito industriale.
Mi piace ogni tanto andare contro corrente, lontano dal sensazionalismo di molte analisi di mercato e studi accademici che si trovano su internet (fin troppo ottimistiche rispetto alla quotidiana realtà lavorativa) inserendo nei miei case-history, anche esempi di prassi operative di service da evitare, oltre alla descrizione di alcune criticità tipiche del comparto, in particolare nelle medie e grandi aziende dove inizia a diventare elevato il numero di clienti, stakeholders, transazioni ed escalations (un termine elegante e professionale per indicare dagli addetti ai lavori “emergenze e crisi”) da gestire.
Il business dei contratti di service post-vendita industriale (soprattutto in tempi di forte concorrenza e continua decrescita economica) rappresenta in via generale (nonostante le numerose difficoltà per attuarla) la miglior strategia commerciale per integrare sensibilmente il proprio fatturato con nuove linee di ricavi, accrescere i margini e migliorare la soddisfazione del cliente, fidelizzandolo in vista di nuovi forniture e progetti.
I vantaggi sono molteplici, perchè l’offerta di service post-vendita industriale (anche se limitata nei volumi di fatturato) se eseguita integralmente, professionalmente e fedelmente secondo le aspettative della clientela, rimane comunque maggiormente reddittiva rispetto alla vendita del prodotto, scalabile nel medio termine, fortemente personalizzabile, meno soggetta alle competizioni sul prezzo, difficilmente replicabile (se basata sul capitale di conoscenze tecniche e di utilizzo del prodotto) e soprattutto sostenibile, durevole nel lungo periodo oltre che programmabile in funzione della dimensione della propria base installata.
Esiste inoltre un vantaggio commerciale non indifferente perchè la relazione di service genera quasi sempre un contatto molto più stretto e continuativo con il cliente (e con i numerosi attori della sua organizzazione, oltre che in taluni casi con i suoi stessi clienti finali) rispetto alle tradizionali relazioni basate sulla vendita di prodotto, il più delle volte limitate alla sola trattativa commerciale (oltre che quasi sempre relegata al solo personale degli acquisti e progettazione). In questo settore i venditori più performanti sono il più delle volte anche gli ex gestori dei contratti (after-sales project & service managers oltre ai tecnici di field service) che hanno deciso di abbracciare il mondo delle vendite.
Sappiamo anche che non è semplice, rapido ed economico attuare tale strategia (in particolare nei periodi con forti limitazioni agli spostamenti, viaggi ed incontri di business) dal momento che la stessa richiede un drastico cambio di cultura, organizzazione e competenza aziendale. Innanzitutto vendere servizi è completamente diverso dal vendere prodotti (in particolare per chi da anni è abituato a vendere, regalando sistematicamente il servizio “post-vendita” come concessione supplementare o extra sconto nelle trattative commerciali), inoltre una semplice attività di service (se mal gestita) può impattare il più delle volte in maniera rapida, inaspettata e trasversale su tutta l’organizzazione aziendale, oltre che scalare verticalmente sino ai vertici dell’azienda (escalations).
Anche le aziende più strutturate che da anni lavorano con centri di profitto basati sul service industriale vivono di frequente un intensa tensione tra le business unit di progettazione-produzione prodotto (commercializzazione) e post-vendita (after-sales, aftermarket, field-service). Principalmente per dispute sulle disponibilità delle risorse trasversali condivise (solitamente magazzino, spedizioni, ingegneria e produzione) o per i vicendevoli scarichi di garanzie, costi e oneri vari a difesa del proprio conto economico di commessa e reparto.
Purtroppo molte imprese hanno nel tempo sottovalutato l’impatto culturale, commerciale ed organizzativo del service post-vendita moderno (oggi sempre più nuova fonte di ricavi e non più centro di costo come in passato) relegando ad un numero sottodimensionato di coordinatori, operatori front-office, back-office e tecnici di assistenza (field service engineers) la gestione di richieste cliente e l’esecuzione di complessi interventi in campo. Ritrovandosi a volte con l’organizzazione service isolata dal resto dell’azienda (che continua ad operare secondo i tradizionali paradigmi prodotto-centrici ) e con l’attenzione rivolta eccessivamente alla performance economica (generazione di fatturato e salvaguardia delle marginalità), il più delle volte a discapito della soddisfazione cliente.
Così facendo queste imprese commettono il tipico errore di chi vuole operare nel business del service post-vendita (ma ne farebbero probabilmente a meno), dimenticando che il servizio rappresenta a tutti gli effetti una vetrina ed un biglietto da visita della propria attività, oggi ancor più della propria forza commerciale, della capacità produttiva o delle caratteristiche e funzionalità avanzate di prodotto.
Con il risultato di deteriorare nel tempo i rapporti con i clienti (per non parlare del continuo avvicendamento del personale addetto) a causa dell’insoddisfacente livello di servizio offerto, danneggiando nel contempo l’immagine globale della propria azienda e prodotto, con conseguente calo degli ordinativi per nuove forniture.
P.S. il tema del rischio reputazionale aziendale (un tipico indicatore è il non riuscire a rimanere a lungo all’interno delle vendor-list dei propri clienti a causa della carenza di risorse chiave per operare e/o per il decadimento qualitatitivo del proprio prodotto e servizio) è stato ripreso in Italia dalla recente normativa sulla crisi d’impresa e sugli adeguati assetti organizzativi che introduce delle apposite check-list, oltre ad interessanti KPI per valutare l’operato organizzativo-esecutivo-gestionale-finanziario di un’azienda (oltre a tutta una serie di utili warning per intercettarne anticipatamente l’eventuale entrata in stato di crisi).