Dal 2003 promuovo una maggior cultura e conoscenza sulle operations di service post-vendita/field service nazionale/internazionale in ambito industriale.
Quando si analizza la catena di valore all’interno di un progetto industriale complesso, emerge chiaramente una distinzione (evitando tassativamente confronti lato gerarchico-competenze) tra chi progetta e chi mette in servizio un sistema (equipaggiamento, macchinario, linea automatica, impianto).
Da una parte, il progettista di disciplina tipicamente l’ingegnere responsabile di una specifica area tecnica (meccanica, elettrica, strumentale, automazione, controllo, ecc.) che concentra (premetto che sto semplificando per far passare il concetto soprattutto ad un management non di estrazione tecnica-ingegneristica) la propria attività sulla definizione teorica, produttiva-realizzativa e documentale della soluzione (deliverable di pertinenza): dimensionamenti, calcoli, schemi, specifiche tecniche, compatibilità normative, standard di riferimento, misure di collaudo.
Dall’altra parte, il tecnico di commissioning (quasi sempre un perito con una forte preparazione-esperienza operativa nei collaudi) che si colloca in una posizione differente, che potremmo avvicinare lato approccio olistico (visione d’insieme del deliverable di progetto) a quella del systems engineer (tradizionalmente ricoperta negli uffici tecnici dal senior project engineer e direttore tecnico di stabilimento) descritto come colui che “comprende funzionalmente l’intero sistema (ripeto olisticamente) in azione nel suo ambiente operativo, mentre eroga la produzione/lavorazione richiesta, integrandosi, operando e cooperando con altri sistemi produttivi (oltre che con gli operatori, manutentori del cliente)”.
Questa differenza è cruciale. Il progettista di disciplina lavora in un ambiente principalmente teorico, manifatturiero e specialistico, in cui il focus è l’ottimizzazione, realizzazione, collaudo, consegna della singola parte del sistema (ovviamente integrabile con il resto delle altre parti che concorrono alla realizzazione del prodotto). Il tecnico di commissioning, invece, si trova in una condizione in cui il sistema non è più un modello e un prodotto stand-alone, ma un insieme di apparati reali che devono funzionare insieme (oltre che con il resto della base installata fornita o gia in funzione del cliente), in un contesto operativo vivo e complesso. La sua prospettiva non si limita alla singola disciplina, ma è sistemica: egli deve verificare che i sottosistemi si integrino realmente in maniera robusta, sicura ed affidabile, che (ad esempio) la logica di controllo risponda agli obiettivi produttivi, che i requisiti di sicurezza siano rispettati e che l’impianto sia in grado di erogare la performance-funzionalità (da specifica tecnica/contrattuale) prevista interagendo con il resto della base installata o con l’ambiente circostante (anche e soprattutto operatori, manutentori).
Un ulteriore elemento distintivo sta nella natura della responsabilità: il commissioning non è un atto puramente tecnico, ma anche operativo e gestionale. Significa affrontare in tempo reale problemi di integrazione, malfunzionamenti imprevisti (oltre alle immancabili dispute tecniche-commerciali-contrattuali che ne derivano), differenze tra quanto progettato e quanto costruito. L’approccio del tecnico di commissioning richiede quindi spirito critico, capacità di adattamento, competenze trasversali (es. negoziali) e, soprattutto, una visione olistica del sistema.
Se l’ingegnere progettista rappresenta la profondità della conoscenza verticale progettuale-costruttiva, normativa, il tecnico di commissioning incarna l’ampiezza della conoscenza funzionale-operativa-manutentiva, trasversale-orizzontale-multidisciplinare e pragmatica (non solo lato coerenza con paradigmi tipicamente ingegneristici, ma anche e soprattutto produttivi). Questa complementarità (che purtroppo è sempre meno compresa e quindi incentivata dagli OEMs) è ciò che consente al progetto di passare dalla carta alla realtà produttiva (non quella della fabbrica-stabilimento che l’ha realizzato, ma del cliente finale che l’ha acquistato e che lo utiliza per produrre): senza la progettazione specialistica non ci sarebbe la base ed il prodotto, ma senza il commissioning non ci sarebbe l’effettiva messa in servizio (aggiungo in sicurezza) del sistema.
In conclusione, l’approccio del tecnico di commissioning (anche quando proveniente da un background da perito) richiede la forma mentis del systems engineer (ripeto, ruolo ricoperto dal project engineer e direttore tecnico di stabilimento) proprio perché è chiamato a capire, governare e ottimizzare il sistema nel suo complesso, non nella teoria, realizzazione costruttiva, ma nel vivo (imprevedibilità, dinamicità, complessità) dell’operatività funzionale (life-cycle). È in questo equilibrio tra teoria e pratica, tra disciplina e sistema, che si realizza la vera riuscita di un progetto per un sistema, equipaggiamento, macchinario, impianto industriale.
Proprio per tale distinzione gli OEMs ed EPC (comparto capital equipment/impianti industriali) più illuminati e performanti, da anni si avvalgono per i ruoli di project & service managers non soltanto di ex progettisti e/o gestionali-commerciali, ma anche di ex professionisti del field service esperti nelle operazioni internazionali in campo-cantiere-nave-offshore (anche in heavily regulated countries, hazardous areas, harsh/hostile environments) su commessa (project-based) d’installazione-cablaggio elettrico, pre-commissioning, commissioning, start-up, test run, completion, handover, training, assistenza tecnica e manutenzione (minor-major shutdown/LTSA), ammodernamento (upgrade, retrofit, revamping, replacement, expansion).