Una maggior cultura, consapevolezza ed attenzione sui potenziali rischi di viaggio e permanenza del personale tecnico trasfertista in nazioni extra-EU

Nei miei precedenti incarichi lavorativi l’argomento della sicurezza del personale tecnico viaggiante mi ha sempre coinvolto quotidianamente in prima persona, dapprima direttamente come trasfertista e successivamente come coordinatore e gestore di attività di site/field service (cantieri, fabbriche, impianti, navi, piattaforme offshore). In più di 25 anni nel comparto ho avuto modo di accumulare tutta una serie di esperienze professionali che mi hanno fatto comprendere quanto le operazioni di preparazione e gestione trasferta necessitino di un continuo miglioramento ed adeguamento globale ai mutevoli contesti internazionali presso i quali si andrà ad operare con il proprio personale. Sono pertanto un forte sostenitore che tali operazioni non debbano essere coordinate, gestite, amministrate, dirette da solo personale Junior o non sufficientemente esperto della materia/mestiere come a volte si legge sulle inserzioni di lavoro più recenti.

Il tema delle attività in trasferta internazionale (in particolare extra EU in nazioni emergenti, contesti disagiati) è da sempre poco noto soprattutto ai non addetti ai lavori (anche la stessa AIRE non dispone di vere e proprie percentuali per rappresentare l’elevato numero di migliaia di “expats” costituito dai trasfertisti “resident/long-stays” del comparto macchinari, fabbriche manifatturiere, impianti industriali, navale, edile, etc.) e ci si accorge dell’esistenza dei nostri numerosi connazionali lavoratori all’estero ahimè solo in presenza di sinistri (operai, tecnici, periti, ingegneri professionisti non solo in grado di montare e mettere in servizio macchinari complessi, ma il più delle volte anche capaci di dirigere “on-site” la costruzione ed avviamento “da zero” di grandi fabbriche ed impianti completi in aree fortemente isolate, disagiate e/o pericolose).

Probabilmente le cause di questa scarsa conoscenza del “mestiere” di tecnico trasfertista oltre che delle relative problematiche, criticità e rischi professionali sono da imputare in parte ad una scarsa cultura aziendale (quasi sempre solo prodotto-centrica oltre che orientata a valorizzare maggiormente le risorse d’ufficio/fabbrica con percorsi di carriera più strutturati/articolati a discapito di quelle impiegate in campo nelle trasferte) sulle operazioni in campo, ma soprattutto ad una legislazione (legge 81) che è sufficientemente chiara e completa nell’ambito degli adempimenti di sicurezza per la propria sede produttiva (al solito, lavoro in fabbrica/ufficio) o nelle attività cantieristiche da titolo IV (es. operazioni lavorative operate da un elevato numero di squadre altamente organizzate e coordinate direttamente in sito sul territorio nazionale), ma che a mio avviso è incompleta (lato comprensione e casistiche contemplate) nelle parti relative a “singoli lavoratori viaggianti” che eseguono attività specialistiche direttamente (in maniera spot o continuativa) presso i clienti industriali in ambito nazionale ed estero (anche se con i recenti interpelli sull’obbligo del preposto per i lavoratori in solitario, la normativa inizia a comprendere meglio le operazioni in trasferta).

Da quando esiste il testo unico, uno degli adempimenti immediati da affrontare lato sicurezza è individuare chi sia per ogni trasferta lavorativa tecnica il dirigente, preposto e lavoratore (su tali nomine e sulla confusione normativa per chi effettivamente ricopre “di fatto” di volta in volta tale ruolo a guida/tutela/sorveglianza dei singoli trasfertisti in missione ci vorrebbe un articolo dedicato, anche se con gli interpelli sopra citati si rafforza invece la necessità di avere uno o più preposti itineranti dedicati a vigilare con ispezioni random in tutti i siti lavorativi).

Incarichi che vanno sempre, subito ed ininterrottamente supportati dai team HR e HSE (oltre che dal resto degli enti aziendali che potrebbero venir coinvolti nelle operazioni di field-service) per facilitare e condividere le ulteriori importanti responsabilità assunte da chi riveste di volta in volta questi ruoli (chi opera nel settore saprà già per certo che quanto sopra descritto è solo il punto di partenza per dar via a tutte le fasi di analisi, preparazione ed esecuzione per individuare/evitare/mitigare i rischi tipici/probabili dell’attività specialistica che si andrà a svolgere all’estero in campo).

Ma c’è poi un altro tema lato legge 81 (chi si occupa di organizzazione, gestione trasferte dovrebbe anche studiarsi tutta una serie di sentenze della cassazione, in modo da ricordarsi di non prendere mai sotto gamba il proprio benestare “frettoloso” allo spostamento-viaggio di un tecnico, anche se dettato da forti pressione del cliente o della propria direzione) che la pandemia ha fatto emergere ed è quello della “trasferta in sicurezza” intesa anche come “viaggio, logistica e permanenza in sicurezza all’estero” che ha messo in evidenza i limiti organizzativi di molte aziende (soprattutto quelle più piccole) che già operavano da tempo in ambito internazionale essenzialmente grazie alla grande esperienza professionale del proprio personale trasfertista senior in grado di muoversi e organizzarsi agevolmente oltre confine con un buon livello di autonomia e conoscenza/attenzione dei rischi professionali specifici della missione.

Infatti chi come lo scrivente ha iniziato da ragazzo negli inizi anni 90 ad andare in trasferta (anche in aree a rischio, isolate, disagiate o con forti/rigide regole sugli usi/costumi locali e restrizioni agli spostamenti) ha imparato da solo autonomamente (a volte seguendo le indicazioni/istruzioni dei colleghi senior o apprendendo dai propri errori e situazioni impreviste) a viaggiare e lavorare in “sicurezza” con un supporto non sempre continuativo dalla casa madre (non esistevano e-mail e telefonini, a volte la linea fissa internazionale era solo alle poste ed i voli per determinate città erano solo settimanali) e soprattutto evitare disagi e rischi in nazioni socialmente, culturalmente ed economicamente molto diverse dall’Europa. 

Dal 2000 in poi l’estremismo religioso, i conflitti/crisi regionali, il terrorismo, i rapimenti e l’aumento della micro criminalità (derivante da situazioni di crescente povertà/disuguaglianza sociale) hanno reso più pericoloso e complicato spostarsi “da soli” per lavoro (senza la necessaria preparazione e supporto in loco) in certe aree del pianeta e solo le grandi aziende più strutturate come gli EPC contractor che operavano già da tempo all’estero in aree a rischio hanno ulteriormente potenziato e strutturato la loro organizzazione per rendere ancora più sicure le trasferte del proprio personale e dei propri fornitori subappaltatori.

Questa evoluzione non è purtroppo avvenuta di pari grado in molte PMI che solo in parte hanno saputo strutturarsi per gestire al meglio le operazioni del proprio personale viaggiante (perlopiù affidandandosi all’organizzazione messa in piedi dai clienti ed agenti locali).

La scossa finale è stata data dal covid-19 che ha obbligato giocoforza anche queste imprese a strutturarsi per farsi carico integralmente dell’organizzazione delle proprie trasferte con un livello di preparazione, attenzione, dettaglio e cura precedentemente impensabili (chi se la sarebbe sentita, legge permettendo… di inviare senza la necessaria completa e precisa organizzazione logistica i propri colleghi in contesti con situazioni sanitarie e tensioni sociali altamente a rischio).

Oggi è sempre più in aumento il numero di PMI che hanno ripreso ad inviare i propri tecnici in trasferta (non in tutte le nazioni ovviamente a causa di diffuse crisi politiche-militari) un risultato (impensabile durante i lockdown) che si è ottenuto potenziando la propria struttura interna, affidandosi anche anche a società specializzate in travel security management che già operavano in contesti esteri complessi (heavily regulated countries, harsh/hazardous areas, hostile environments) oltre a consulenti esterni (ex-trasfertisti) esperti nella gestione organizzativa ed esecutiva delle attività di field-service internazionale.

Purtroppo in tempi più recenti è aumentato nuovamente il rischio nei viaggi e permanenze in nazioni estere a causa del repentino aumento dei conflitti regionali e del degrado nelle relazioni internazionali tra molti paesi una volta ritenuti sicuri. Per tale motivo oltre a sviluppare una maggior cultura geopolitica (e qui le tecniche e strumenti OSINT possono essere d’aiuto) consiglio sempre alle organizzazioni di impegnarsi nell’approfondimento della nuova ISO 31030 (travel risk management) oltre che della più generale ISO 31000 (in combinazione con la OSHAS 18001 ed ISO 45001) anche e soprattutto per i lavoratori trasfertisti in solitario

Inoltre è sempre meno da sottovalutare in contesti complessi (con elevato grado di controllo, sorveglianza del personale straniero) l’uso degli strumenti digitali PC e smartphone (anche personali) da parte dei tecnici trasfertisti. Tecnologie digitali che se usate in maniera non consapevole (anche della sola legislazione nazionale dove si risiede per lavoro) possono creare problemi durante le trasferte (esempio usare VPN, messaggistica crittografata o cifrature dei dati sugli hard-disk è diventato illegale in diverse nazioni).

“Sistemi Linux vs Ransomware”​ soluzioni a basso costo di Cyber Resilience & Digital Operations Survival Platforms per avere a disposizione (nelle piccole organizzazioni di gestione service industriale) dei computer d’emergenza durante gli attacchi informatici (oltre che durante le disfunzioni delle principali piattforme digitali commerciali sia cloud che on-premises)

** Sempre aperto ad incarichi-interventi per digitalizzare (con un paradigma ecosostenibile basato sull’ingegnosità-innovazione frugale avanzata e riuso-ricondizionamento dei propri computers Windows obsoleti, da convertire in moderne workstations/server Linux) il territorio e/o aree rurali-disagiate (anche estere) in contesti SOHO (Small Office/Home Office) privi dei necessari budget d’acquisto di tecnologie informatiche proprietarie/commerciali per rafforzare resilienza operativa digitale, privacy, confidenzialità durante l’uso dei PC e/o da adottare anche in caso di eventi complessi ed emergenziali (blocco globale catene di fornitura, blackout, calamità), ma soprattutto durante i sempre più diffusi attacchi informatici, disfunzionalità ed indisponibilità dei tradizionali sistemi ICT e servizi in cloud (anche causa cambi delle politiche-licenze commerciali e/o non rispetto del GDPR). **

Non passa giorno senza essere messi a conoscenza dell’ennesima azienda locale vittima di attacchi informatici ransomware creati per autopropagarsi in rete, criptare gli hard-disk e rendere di fatto inutilizzabile tutta l’infrastruttura digitale colpita (almeno sino al pagamento di un cospicuo riscatto in criptovaluta). Solo recentemente un importante e strategica infrastruttura cloud della pubblica amministrazione nazionale è finita fuori servizio per settimane creando innumerevoli problemi a cittadini, imprese (fatturazione elettronica) ed enti statali. Per non parlare di quello che accaduto a livello globale con il crash informatico mondiale del 19 luglio 2024, a causa di un banale e “benevolo” errore d’aggiornamento software di un importante azienda IT.

E’ facile pensare che il fenomeno sia relegato solo ad artigiani, ditte individuali, studi professionali, micro-piccole imprese (tradizionalmente in difficoltà ad investire nell’informatica per la cronica mancanza di sufficienti risorse finanziarie) e quando si scopre che anche le medie e grandi aziende (che invece investono maggiormente nel digitale) ma soprattutto le infrastrutture critiche, enti governativi, difesa (oltre alle aziende stesse di sicurezza informatica) sono a loro volta vittime di tali attacchi, si comprende il perchè molte nazioni (in Europa principalmente Francia, Germania, paesi scandinavi, baltici e recentemente anche Svizzera) stiano spingendo già da tempo le loro organizzazioni governative (e non solo quelle) a passare al sistema operativo Linux.

Anche il governo cinese ha creato (per motivi di crescita ed indipendenza-sovranità tecnologica, anche lato infrastrutture nazionali per l’IA) un’apposita serie di distribuzioni Linux, per un utilizzo mirato all’interno di enti pubblici, militari e strategici (nella federazione Russa è stata ancor prima intrapresa un’azione simile a quella cinese anche se meno pubblicizzata visto che è stata realizzata principalmente per l’ambito difesa). Una transizione tecnologica controcorrente (rispetto alle scelte tecnologiche del passato) che guarda caso riguarda soprattutto i maggiori stati (stando alla stampa internazionale) dietro ai principali attacchi informatici perpetrati nell’area continentale.

Il fatto poi che uno dei più grandi produttori internazionale di computer sito in Pechino abbia già da diversi anni iniziato a promuovere su larga scala la vendita di desktop e portatili Linux per un’utilizzo anche in ambito business nel mercato nazionale ed estero dovrebbe far riflettere su quella che è la strada maestra da percorrere a livello digitalizzazione “più sicura” futura.

Qui in Italia (ma non nel resto d’Europa in particolare in Francia dove il software libero è considerato un pilastro per l’indipendenza-sovranità tecnologica nazionale “Souveraineté économique”) si pensa ancora che le workstations basate su Linux non siano adatte alla maggior parte delle nostre imprese ed enti pubblici (nel mentre numerosi imprenditori visionari d’oltre oceano o asiatici hanno da tempo creato nuovi business milionari anche grazie all’uso sapiente del software libero).

In effetti se in ufficio (noncuranti del fatto che quasi tutto quello che ideiamo-realizziamo-archiviamo sul computer-cloud può essere potenzialmente analizzato con telemetrie proprio dai produttori dei software. . vedi Recall su Windows 11 ) si utilizzano gestionali sviluppati su Windows o programmi specialistici di progettazione e disegno CAD (che è poi la configurazione tipica di tante micro, PMI e grandi aziende nazionali del settore metalmeccanico, edile) l’opzione Linux come sistema operativo aziendale primario diventa difficile se non impossibile da percorrere almeno in ambito desktop (anche se stanno arrivando sul mercato CAD nativi Linux di livello professionale basati su licenze commerciali). Cionondimeno esistono comunque dei cad (al solito più diffusi nel resto d’Europa) elettronici (PCB), elettrici e meccanici “2D/3D” interamente rilasciati sotto licenza libera (KiCad, QElectroTech, FreeCAD, QCAD, FreeCAD) già presenti nelle principali distribuzioni Linux (anche se le traduzioni in italiano dell’interfaccia utente non sono sempre complete e i software non gestiscono i formati proprietari dei disegni/schemi .dwg).

CAD che al momento (nonostante siano ancora carenti lato funzionalità) sono adottati principalmente da moderne ed avanzate società del settore automazione, elettronica, embedded, telecomunicazioni, aerospaziale più avezzi all’utilizzo di tecnologie emergenti.

Per non parlare dell’abitudinarietà (che è poi il grande vero ostacolo a qualsiasi cambiamento tecnologico/piano di innovazione nelle aziende) di molti utilizzatori di PC in difficoltà o semplicemente contrari ad apprendere l’uso di nuovi software (solitamente più semplici, minimalisti e “privi di numerose features superflue” rispetto alle controparti proprietarie-commerciali) e/o accettare cambiamenti dell’interfaccia utente (molti fornitori di tecnologie digitali a volte dimenticano che chi utilizza il computer solo per svolgere il proprio lavoro impiegatizio o manageriale in ufficio e/o in fabbrica, cantiere è quasi sempre molto conservativo e possono volerci mesi per abituarsi al nuovo strumento informatico).

D’altro canto è possibile intraprendere (progetto SMDATA Lab) una “parziale” migrazione a Linux (con le necessarie verifiche preliminari di fattibilità e compatibilità con l’hardware esistente), se l’organizzazione già opera con gestionali accessibili via web/cloud (oggi sempre più diffusi soprattutto nelle piccole realtà aziendali) ed il proprio ambito lavorativo è prevelentemente di coordinamento, oltre che commerciale e gestionale nel service industriale.

Se poi si lavora nella nicchia di mercato legata alle applicazioni scientifiche e di ricerca, oltre che nel settore informatico delle grandi corporations e startup tecnologiche la migrazione diventa ancora più fattibile visto che in questi comparti sono anni che si utilizzano desktop, portatili e server Linux (nel tempo sono addirittura nati oltre agli OEMs cinesi, dei produttori americani e tedeschi-olandesi di computer di fascia alta che installano nativamente il sistema operativo Linux realizzando avanzate workstations, per non parlare del crescente mercato degli smarthphones “degooglizzati” per migliorare la privacy/confidenzialità degli utenti).

Inoltre è sempre più facile imbattersi su internet nel comparto Industria 4.0 di aziende che usano infrastrutture ICT Linux per gestire le attività di progettazione, collaudo e service post-vendita delle complesse architetture informatiche industriali (OT & Embedded) dei sistemi “software-intensive” SCADA/ICS/IACS di supervisione, automazione, controllo (e relativa quadristica elettrica di comando, bordo macchina).

Ora, tornando invece al problema degli attacchi ransomware, a prescindere dalla tipologia di azienda e business, molte piccole organizzazioni possono essere comunque aiutate ad adottare parzialmente (in ambito SOHO Small Office/Home Office) sistemi Linux desktop, portatili e file server (meglio senza l’accesso al sempre più vulnerabile ed inaffidabile protocollo SMB) laddove si decida di dotarsi di una piccola infrastruttura informatica parallela di emergenza “Cyber Resilience & Digital Operations Survival Platforms” (realizzata con il ricondizionamento dei propri vecchi computer Windows obsoleti: XP, Vista, 7) da utilizzare nel caso si sia costretti dopo un attacco informatico a spegnere l’infrastruttura Windows principale.

Una soluzione minimale o meglio di “ingegneria/innovazione open-frugale avanzata” e/o “Maker” (che i grandi operatori della sicurezza informatica, potrebbero definire “di fortuna” o non professionale… anche se a dire il vero sono più di 20 anni che mi cimento ad aprire (anche durante viaggi-trasferte) su desktop Linux (utilizzati inizialmente solo come “Sand-Box”) allegati e-mail di phishing contenenti virus e malware di ogni genere senza incorrere in nessun particolare tipo di problema), ma che permette (in attesa che si ripristini l’infrastruttura informatica principale) di tenere in piedi almeno l’accesso al web, alla posta elettronica esterna, a fogli di calcolo e documenti privi di macro (chiaramente se presenti su un file server Linux di backup) e di poter continuare ad interagire parzialmente con i propri clienti, fornitori, oltre a un un numero limitato di colleghi/collaboratori (per dovere di cronaca ci sono numerose aziende che sono rimaste ferme e/o chiuse per settimane a causa dei ransomware).

Questo è possibile perchè il sistema operativo Linux è ad oggi poco diffuso negli uffici in modalità “on-premises” (soprattutto lato desktop, notebook, workstation) ma anche perchè intrinsicamente più “robusto”, “minimalista” ed “essenziale” (esistono studi sul legame tra complessità, sicurezza ed affidabilità di un sistema digitale) oltre che maggiormente rigoroso/rigido di Windows lato privilegi necessari all’installazione-esecuzione programmi e alla condivisione-trasferimento files. Il che lo rende oggi più immune dalle minacce informatiche più diffuse in particolare per i PC desktop (tipicamente software malevoli nascosti in e-mail, pagine web, PDF, immagini e documenti Office).

Un discorso diverso vale invece per i server Linux utilizzati in ambito web o cloud (a parte i costi sempre più importanti causati dall’attuale caro prezzi) che invece (complice l’ormai sempre più costosa, esasperata ed ingestibile complessità delle architetture cloud virtuali/containers implementate nei data centers) essendo altamente diffusi (e mal integrati-amministrati), sono da tempo vittima alla stregua dei sistemi Windows di tutta una serie di attacchi e vulnerabilità (affidarsi oggi alle sole infrastrutture cloud senza un backup fisico on-premises è sempre più rischioso). Per tale motivo sono in aumento le aziende (anche grandi gruppi high-tech che tengono ben custodito il loro know-how su macchine fisiche decentrate “on-premises” nelle loro sedi o data centers di prossimità fisicamente accessibili, stando ben lontani dal sempre più poroso e costoso cloud).

Esistono naturalmente numerose ed ottime soluzioni commerciali (quasi sempre estere) per la sicurezza-resilienza informatica, ma purtroppo la maggior parte non sono ad oggi alla portata di molte delle micro-piccole realtà aziendali, professionali ed artigiane con limitato potere di spesa, che sono invece quelle che il progetto SMDATA Lab intende servire.

Sostenibilità Digitale e Autonomia Tecnologica: Un Approccio Frugale e Innovativo per le Infrastrutture Informatiche Collaborative SOHO (Small Office/Home Office) nel Service Industriale

Introduzione

L’evoluzione del settore digitale ha portato a una crescente dipendenza dai grandi vendor hardware e software, limitando le più convenienti opportunità di autonomia tecnologica per le piccole organizzazioni di service industriale che si vogliono dotare di infrastrutture informatiche collaborative semplici e minimaliste (SOHO) dedicate alla raccolta, condivisione e analisi dati per il coordinamento e l’esecuzione di interventi in campo e in cantiere (field service & service post-vendita). Queste infrastrutture ICT (principalmente software CMS, CRM, Help-Desk/Ticket Management), spesso fruibili via web, sono essenziali per la gestione del ciclo di vita degli asset industriali (knowledge/life-cycle/asset management), inclusi storico interventi, guasti, modifiche, selezione ricambi, manualistica, schemi-disegni, configurazioni hardware, versioni software.

Un approccio basato su “product development-management” sostenibile e innovazione frugale avanzata consente di implementare soluzioni tecnologiche indipendenti, accessibili e durevoli, particolarmente rilevanti nel contesto dell’asset management & service di quadristica elettrica di comando-controllo, elettronica di potenza, bordo macchina e architetture digitali OT-Embedded per sistemi “software-intensive” SCADA/IACS/ICS utilizzati in applicazioni industriali basate su azionamenti, motori elettrici (BT) e attuatori. Inoltre, queste soluzioni migliorano l’indipendenza tecnologica e la resilienza operativa, garantendo maggiore sicurezza, stabilità e controllo (privacy & confidenzialità) sugli strumenti digitali utilizzati.

Il Concetto di Innovazione Frugale e Autonomia Tecnologica

L’innovazione frugale si basa sull’ottimizzazione delle risorse disponibili (in particolare in condizioni di cronica congiuntura economica non favorevole) per creare soluzioni efficaci, economiche e sostenibili. In ambito tecnologico, questo significa progettare e realizzare piccole infrastrutture informatiche collaborative (SOHO) che massimizzano l’efficienza con il minimo investimento di risorse finanziarie e materiali. Per le micro-piccole aziende che operano nel service industriale e nella gestione del ciclo di vita degli asset, l’autonomia tecnologica si fonda anche sulla capacità di implementare gestire (almeno in parte) soluzioni software e hardware senza dipendere da produttori di strumenti proprietari. L’uso di software libero (Open Source) e il riutilizzo di hardware obsoleto rappresentano strategie chiave per ridurre la dipendenza da aziende leader di mercato e altri fornitori di costose soluzioni gestionali. Questa indipendenza garantisce maggiore controllo sulle tecnologie adottate, una migliore gestione della sicurezza e una minore esposizione alle politiche commerciali imposte dai grandi vendor.

Riuso e Ricondizionamento dell’Hardware Obsoleto

Il settore tecnologico contribuisce in modo significativo all’inquinamento elettronico. Riusare hardware dismesso riduce la produzione di rifiuti elettronici e l’impatto ambientale della filiera produttiva. Per le piccole infrastrutture SOHO dedicate al service industriale, il processo di riuso dell’hardware include la pulizia e verifica dello stato dei dispositivi, la sostituzione di parti obsolete o difettose, l’installazione di sistemi operativi leggeri ed efficienti come Linux (in particolare Debian), la configurazione di software per la gestione delle attività operative, inclusi strumenti di ticketing, pianificazione degli interventi, gestione della documentazione tecnica (schemi, disegni, manualistica), storico guasti e analisi delle configurazioni hardware/software. Un caso concreto riguarda la trasformazione di PC e dispositivi mobili Windows (Vista, 7, 8, 10) obsoleti in macchine performanti con Linux, prolungandone la vita operativa di almeno cinque anni. Questa pratica si dimostra vantaggiosa per la gestione service interna. Inoltre, tale riconversione aumenta la resilienza operativa, poiché riduce il rischio di vulnerabilità derivanti dalla fine del supporto ufficiale dei sistemi operativi proprietari e garantisce continuità di servizio anche in condizioni critiche (tipicamente quando il resto dell’infastruttura ICT subisce attacchi ransomware).

Vantaggi e Sfide-Difficoltà dell’Approccio Proposto

L’uso di hardware ricondizionato e software Open Source permette alle infrastrutture SOHO del service industriale di ridurre significativamente i costi operativi, migliorare la sostenibilità ambientale e garantire un maggiore controllo sui dati aziendali (nuovamente privacy & confidenzialità). L’indipendenza tecnologica offre libertà di scelta nelle soluzioni adottate, evitando vincoli imposti dai vendor e riducendo il rischio di obsolescenza forzata. La resilienza operativa aumenta la stabilità e la sicurezza grazie alla riduzione della dipendenza da aggiornamenti proprietari. Tra le principali sfide (difficoltà nell’attuazione) si annoverano la resistenza al cambiamento da parte degli utenti, superabile con formazione e sensibilizzazione, e la compatibilità hardware (non sempre garantita), che la comunità Open Source lavora continuamente per migliorare.

Conclusione

L’adozione di un modello basato su innovazione frugale, riuso dell’hardware e software libero rappresenta una strategia sostenibile e accessibile per il futuro delle infrastrutture informatiche SOHO nel service industriale. Inoltre può rivoluzionare il modo in cui le piccole organizzazioni gestiscono la propria infrastruttura IT, rendendola più democratica, indipendente e rispettosa dell’ambiente. Inoltre, il vantaggio derivante dall’indipendenza tecnologica e dalla resilienza di queste soluzioni permette di creare infrastrutture più sicure e flessibili, capaci di adattarsi a contesti mutevoli senza dover subire imposizioni da parte di terzi.

P.S. so bene quindi quanto siano ogni giorno sempre più limitati (soprattutto oggi con le crisi strategiche ai confini con l’Europa ed il caro energia) i budget a disposizione per strutturarsi maggiormente (oltretutto con il fine pressante/immediato di trovare nuovi clienti e commesse per aumentare i profitti/ricavi e solo secondariamente di “innovare….” per migliorare l’efficienza interna della propria organizzazione aziendale).

Servono pertanto, si degli strumenti digitali di comunicazione e collaborazione aziendale (anche da remoto), oltre che di raccolta, condivisione ed analisi di dati ed informazioni per rimanere competitivi (velocizzando, snellendo ed automatizzando parte dei flussi operativi, oltre che le analisi quantitative di business), ma senza però affossare i già esigui budget disponibili.

Inoltre è bene ricordare che, laddove in passato sono stati fatti investimenti per digitalizzare, non c’è poi sempre stata in automatico la volontà da parte dei collaboratori di accogliere i cambiamenti introdotti (principalmente perchè lato informatico l’utilizzatore medio tende a rifiutare il cambiamento degli strumenti di lavoro quotidiano).

**I progetti-soluzioni-sistemi-tecnologie si basano sui principi “Efficient-Minimalism” & “KISS” (KEEP IT SIMPLE & SECURE)**

Informatica Libera (Linux, Open Source, FLOSS) per le piccole Organizzazioni di Service Post-Vendita Industriale (analisi del comparto dal punto di vista degli addetti ai lavori)

Nonostante il marketing e le numerose pubblicazioni accademiche sulla servitizzazione manifatturiera si prodighino nel promuovere la crescente importanza strategica degli emergenti modelli di business basati sui servizi industriali erogati a canone e/o uso-consumo (il tutto reso possibile dalle avveniristiche tecnologie IoT ed analisi predittive dell’intelligenza artificiale), ancora oggi il service post-vendita industriale di stampo tradizionale (basato sulla risoluzione reattiva di guasti e fornitura ricambi, oltre che erogato a misura, in economia, time-sheet o contratti a corpo, a scalare, a gettone) rimane ancora il modello operativo ed economico predominante sul mercato.

Con l’aggravante di venir spesso considerato da molte delle aziende manifatturiere e rivenditrici di beni strumentali (componenti, sistemi, equipaggiamenti, macchinari automatici di produzione) come “il male necessario” per poter continuare a vendere i propri prodotti.

Lo dimostra il fatto che in molte micro e piccole imprese (ma anche in molte aziende medio-piccole) la gestione del service è ancora delegata (come semplice centro di costo) all’ufficio commerciale/tecnico come una sorta di fastidiosa attività part-time.

Laddove il service esiste invece come ente formale e centro di profitto (come nella maggior parte dei grandi OEMs), questa risulta essere il più delle volte una sorta di “organizzazione sottodimensionata, perennemente in difficoltà nell’operare con efficienza e proattività”, cronicamente in stato di “tensione” con il resto dei dipartimenti aziendali più tradizionali (vendite, acquisti, ingegneria, produzione, amministrazione). E per dirla tutta, a volte nemmeno ben vista dal cliente finale (end-user), laddove la base installata non risulti funzionalmente robusta ed affidabile nel tempo (o ci vogliano ogni volta tempi biblici per inviare un tecnico/ricambio o risolvere un problema o guasto).

Sembra un controsenso, ma molti manutentori dei clienti (che ricordiamoci sono poi gli acquirenti principali dei contratti service) a torto o ragione si lamentano che molte organizzazioni di service post-vendita industriale dei fornitori abbiano sempre più (complici i considerevoli margini del comparto) “la loro ragion d’essere” fintanto che ci sono continui guasti da sistemare.

Mentre (e concordo con i manutentori) dovrebbero invece operare con interventi più sofisticati (senza sostituirsi in maniera pervasiva al personale interno dell’end-user) e “generativi di valore” per il cliente (basati sulle pratiche dell’ingegneria di manutenzione e del più moderno asset-management & reliability-management) volti a prevenirli o limitarli almeno in parte e che soprattutto non richiedano ogni volta il costoso invio reattivo-in urgenza di un tecnico d’assistenza in campo anche per le anomalie di funzionamento più banali (le limitazioni ai viaggi del personale tecnico di field-service durante la pandemia e le difficoltà ad approvvigionare ancora oggi i ricambi dovrebbero averci insegnato la lezione).

Da qui a mio avviso l’importanza di digitalizzare (non tutto, come promosso da un certo marketing, ma solo quello che realmente-praticamente serve ed è utile) sempre più la propria base d’installato con le tecnologie abilitanti dell’Industria 4.0 – Manutenzione 4.0: sistemi di tele presenza e/o tele manutenzione e/o telediagnosi e/o monitoraggio-accesso in remoto più in generale.

Senza dimenticare di farlo anche presso gli uffici delle organizzazioni commerciali e di gestione contratti post-vendita industriali, dotandoli di strumenti collaborativi (semplici e minimali) come CMS, CRM e Ticket Manager/Help-Desk atti a creare un’infrastruttura digitale anche di “knowledge management” (creare uno storico anomalie/guasti/interventi su database condivisi facilmente interrogabili ed elaborabili) per la propria base d’installato, così da innescare analisi affidabilistiche proattive e strutturate (esempio: root-cause-analysis RCA) da trasformare successivamente in nuove opportunità di vendita per interventi manutentivi e o progetti d’ammodernamento (upgrade, retrofit, revamping, replacement, expansion) di “maggior valore” per il cliente (oltre che naturalmente per velocizzare l’accesso alle informazioni necessarie all’esecuzione degli interventi in campo-cantiere o di semplice supporto telefonico ed e-mail da parte degli addetti service post-vendita).

Ad oggi invece l’attenzione per il digitale delle organizzazioni service è ancora quasi esclusivamente indirizzata ai soli strumenti informatici (gestionali-amministrativi) per inserire ordini, contabilizzare gli interventi, prelevare dal magazzino i ricambi, stampare rapportini, DDT ed inviare fatture. Inoltre la crescente regolamentazione EU lato digitale, ha introdotto un ulteriore freno a digitalizzare estensivamente la propria organizzazione (in particolare nelle micro-piccole imprese prive dei necessari budget) per paura delle violazioni informatiche (es. data-breach, ransomware) e del costo/complessità degli adempimenti-architetture lato sicurezza-privacy (e relative potenziali verifiche-ispezioni-sanzioni).

Più di 25 anni di lavoro nel comparto (dapprima come tecnico trasfertista e poi come gestore-coordinatore lavori in campo-cantiere/field-service) mi hanno insegnato che “lato investimenti” solo le rimanenze dei budget aziendali (storicamente indirizzati ai reparti di produzione ed ingegneria) sono messi a disposizione del service, dando però priorità alle sole spese per nuove attrezzature tecniche e dispositivi di protezione individuali (DPI) del personale trasfertista che effettua gli interventi in campo (field-service).

Chi invece lavora nella “commercializzazione & gestione” dei contratti post-vendita (commerciali, gestori, capi commessa, operatori front-office/back-office) è molto probabile che si ritrovi ad operare con strumenti informatici obsoleti, limitati o comunque non adeguati a supportare e coordinare l’intero ciclo degli articolati processi operativi per il service (che ripeto non sono solo esclusivamente quelli amministrativi e contabili).

Tipico è il caso dell’addetto abituato ormai da anni a lavorare con computer e software obsoleti rispetto ai colleghi degli altri reparti, solitamente con un accesso parziale all’ERP aziendale (solo per la parte inserimento/fatturazione ordini di intervento in campo e controllo giacenze/consegne ricambi), lasciandolo quotidianamente e caoticamente in balia di numerose telefonate, e-mail, modelli word (magari solo nella lingua italiana) e fogli excel (i classici listoni condivisi sul file server aziendale) atti a sopperire alla mancanza di strumenti di raccolta, condivisione (dati, informazioni, conoscenza), collaborazione e coordinamento organizzativo-operativo (oltre che di analisi dei dati aziendali di reparto) dedicati al particolare iter operativo del service post-vendita per beni strumentali. Per non parlare dell’ingente numero di ore uomo settimanalmente sprecate nel raccogliere (con solleciti, e-mail, telefonate, visite, riunioni) dati e informazioni detenute dal solo personale d’ingegneria e/o field service.

Se poi si lavora (come è sempre più il caso) con una base d’installato principalmente estera appartenente ad una clientela quasi sempre straniera, le operazioni si complicano ulteriormente. Ricordiamoci che quasi tutti gli OEMs di beni strumentali nazionali lavorano da più di 20 anni principalmente per l’export, cionostante molti dei processi, documenti e strumenti informatici aziendali hanno ancora una forte connotazione per il solo mercato nazionale (un particolare che ho sempre apprezzato del lavorare nei subappalti per l’oil&gas, petrolchimico è vedere le aziende “EPC” italiane più grandi spingere nel far comunicare in lingua inglese la maggior parte del proprio personale interno-esterno oltre a tutta la catena di fornitura-appalto. Questo lo si evince di frequente nelle comunicazioni e-mail di commessa anche tra soli connazionali che avvengono quasi sempre in lingua inglese).

Da febbraio 2023 ho pertanto ripreso a sviluppare, testare e promuovere un progetto già intrapreso nel 2003 (con una mia precedente iniziativa professionale), ritornando ad occuparmi di come digitalizzare (ad oggi solo mediante soluzioni SOHO prototipali) con “l’informatica libera” (e strumenti Office) in maniera sostenibile e a basso costo innanzitutto le piccole organizzazioni di vendita e gestione per i contratti esteri di service post-vendita industriale e field service dei beni strumentali industriali “software-intensive” e applicazioni (greenfield/brownfield) d’automazione industriale (anche e soprattutto Industria 4.0).

Il tutto partendo dall’assunto che già da tempo i sistemi Linux ed il software libero sono utilizzati dalle grandi aziende dell’informatica nazionale per coordinare con successo le attività di service post-vendita (Managed Services/ITIL) per i loro sistemi, progetti e servizi digitali.

Per gli operatori del service post-vendita industriale & field service industriale interessati ad approfondire il contenuto dell’articolo, sottolineo che nei miei interventi professionali non è prevista la vendita di hardware e/o software (i programmi sono Open-Source quindi liberamente scaricabili da internet da chiunque, o fruibili direttamente attraverso sottoscrizione con il produttore di software in modalità cloud-SaaS freemium senza supporto tecnico e alternativamente anche a pagamento comprensivo di servizio backup-manutenzione-aggiornamento).

E’ invece incluso il mio supporto diretto per installare ed utilizzare tali programmi presso i vostri uffici in modalità “on-premises” oltre alla graduale fornitura (e relativo addestramento all’uso) di un “business framework” in lingua inglese (processi, procedure, istruzioni, metodi, tecniche, modelli, strumenti) ideato per supportare chi lavora dall’ufficio/casa (anche in smart-remote working) nelle operazioni di coordinamento-esecuzione field service & service post-vendita industriale internazionale specificamente lato beni strumentali industriali “software-intensive”, applicazioni d’automazione industriale (discreta) e tecnologie Industria 4.0.

Semplifica Digitale

Grazie alla pregressa ed estensiva esperienza lavorativa (presso uno storico OEM industriale nazionale oggi parte di un gruppo U.S./giapponese) anche nella gestione di commesse tecniche (operazioni, contratti, progetti) nel service industriale (field/post-vendita) internazionale, ho dato il via alla promozione di un ulteriore progetto “Semplifica digitale” per supportare principalmente (ma non solo) le micro-piccole organizzazioni di service industriale del territorio che hanno deciso di avvalersi di software libero (Open Source) sulla robusta piattaforma (on-premises, Self-hosted, SOHO) “privacy-enhancing” Linux (desktop e server) anche lato produttività aziendale e gestione commerciale-contrattuale, tecnico-economica (*impariamo a proteggere anche le nostre informazioni aziendali*).

Aperto ad addestrare all’uso di software Open Source, come Calc (suite LibreOffice), Knime, Metabase, DBeaver nell’elaborazione dei dati di gestione e controllo commerciale-contrattuale, tecnico-economico “project-based” (con modellazione, simulazione, analisi dati e reportistica aziendale anche in lingua inglese) di budget (preventivazione, forecasts), ordini (acquisito-backlog), costi, riserve, fatturato (basato su time-sheets, avanzamenti lavoro a P.O.C.), cassa, margini.

Più in generale la formazione-supporto all’elaborazione dati (rendicontazione, controllo, contabilità di prestazioni-contratti-progetti) è idealmente rivolta (anche) a tutte le tipologie di micro-piccole imprese (orientate ad adottare le tecniche di project management & project control) che lavorano nell’ambito dei progetti e servizi tecnici-tecnologici-industriali su commessa nazionali-esteri, oltre che nei “small business immobiliari” a conduzione familiare.

Supporto inoltre gli utenti (interventi per l’accessibilità digitale) che adoperano workstation “privacy-enhancing/preserving” & “confidential computing” Linux Debian lato utilizzo strumenti (utente finale) per l’identità digitale, domicilio digitale, firma elettronica, pagamenti elettronici, e-banking, ma soprattutto con i particolari programmi e formati d’interscambio dati dei servizi pubblici.

**I progetti-soluzioni-tecnologie si basano sui principi “Efficient-Minimalism” & “KISS” (KEEP IT SIMPLE & SECURE)**

Sensing, Monitoring & Data Acquisition | Connectivity & OT-Embedded

Promuovo un ulteriore (mio) progetto e set di competenze (per l’economia di prossimità/innovazione tecnologica del territorio) specifiche per Industria 4.0/Manutenzione 4.0, monitoraggio ambientale e domotica wireless (attualmente in fase R&D, ricerca specifiche nuove partnerships tecniche, commerciali), rivolto allo sviluppo di una piccola (collaborativa-smart-work ready) organizzazione in outsourcing di project & service management (field/after-sales), specializzata nella gestione (commerciale, contrattuale, tecnico-economica, organizzativa, logistica, esecutiva, HSE, dispute-controversie-contenziosi) di semplici-robusti progetti OT minimalisti (prototipi/P.O.C. lato tecnologie Industria 4.0/Manutenzione 4.0, Domotica, IoT e sistemi embedded) per il rilevamento, monitoraggio, data logging e connettività più in generale (focus su monitoraggio, diagnostica, manutenzione predittiva).

Progetti OT realizzabili mediante l’uso cost-effective di sistemi Linux e software libero implementati su PC standard (anche obsoleti), low-cost PLC/schede elettroniche embedded (Arduino) e single board computers Raspberry Pi.

L’infrastruttura informatica “on-premises & privacy-preserving” di gestione progetti e servizi tecnici su commessa è prototipale oltre che realizzata con sistemi Linux, software libero ed il “riuso” di computer obsoleti.

La soluzione ICT si inserisce come estensione alle altre mie infrastrutture informatiche prototipali (Self-hosting, SOHO per micro-piccole imprese) collaborative (basate su CMS, CRM & Ticket Management software) dedicate alla raccolta, condivisione, analisi dati per l’attività di coordinamento-esecuzione interventi in campo-cantiere (field service & service post-vendita) e gestione del ciclo di vita (knowledge/life-cycle/asset management) della base d’installato (storico interventi, guasti, modifiche, selezione ricambi, manualistica, schemi-disegni, configurazioni-personalizzazioni hardware, versioni software) specificamente lato beni strumentali industriali “software-intensive”, applicazioni d’automazione industriale (discreta) e tecnologie Industria 4.0.

**I progetti-soluzioni-sistemi-tecnologie si basano sui principi “Efficient-Minimalism” & “KISS” (KEEP IT SIMPLE & SECURE)**

Informatica Libera (Linux, Open Source, FLOSS) & Riuso dei propri vecchi PC per Innovare e Digitalizzare con convenienza, minimalismo e sostenibilità le piccole organizzazioni di Service Industriale Internazionale (Post-Vendita & Field Service)

Le competenze e capacità nel service industriale del progetto SMDATA Lab nascono On-the-Job agli inizi del 2000 per eseguire piani (territoriali) volti all’innovazione, digitalizzazione, internazionalizzazione delle micro-piccole imprese locali (subappaltatrici-subfornitrici), realizzando “soluzioni digitali prototipali” (con interfaccia in lingua inglese) e business frameworks “project-based” (processi, procedure, istruzioni, metodi, tecniche, modelli, strumenti orientati al coordinamento-esecuzione di progetti, servizi tecnici in campo-cantiere su commesse internazionali) per le piccole organizzazioni di field service, service post-vendita del comparto beni strumentali industriali “software-intensive” (macchine di produzione-linee automatiche) e applicazioni (greenfield/brownfield) d’automazione industriale discreta.

La tecnologia on-premises (server usati-ricondizionati, workstations Linux, software libero) ed i processi adottati potenziano-migliorano-velocizzano la collaborazione con i propri clienti nazionali-esteri, diretti ed indiretti e sono rivolti ad artigiani, ditte individuali, micro, piccole imprese del territorio (OEMs, integratori di sistemi, distributori, rivenditori, assemblatori di quasi macchine, manutentori) che lavorano in subappalto (principalmente per/all’estero) nelle operazioni d’installazione, cablaggio, pre-commissioning, commissioning, start-up, test run, completion, handover, training e successiva assistenza tecnica, manutenzione.

Nei piani è previsto il riuso conveniente ed ecosostenibile di vecchi PC del cliente e l’integrazione con sistemi Linux, software libero nella realizzazione di piccole infrastrutture informatiche (Self-hosting, SOHO Small Office/Home Office) collaborative (collegate anche in remoto agli ERP in cloud del cliente) dedicate alla raccolta, condivisione, analisi dati per le attività di coordinamento-esecuzione interventi in campo-cantiere (field service & service post-vendita) e gestione del ciclo di vita (knowledge/life-cycle/asset management) della base d’installato (storico interventi, guasti, modifiche, selezione ricambi, manualistica, schemi-disegni, configurazioni-personalizzazioni hardware, versioni software) specificamente lato quadristica elettrica di automazione-controllo, bordo macchina, architetture informatiche industriali (OT-Embedded) di sistemi “software-intensive” SCADA/IACS/ICS per applicazioni industriali basate sull’uso di azionamenti, motori elettrici (BT), attuatori.

Il progetto SMDATA Lab promuove l’adozione di sistemi Linux, software/hardware libero, applicazioni (on-premises, Self-hosted) web (principalmente CMS, CRM & tools di Ticket Management/Help-Desk), il riuso eco-sostenibile dei propri vecchi PC (almeno Intel Core 2 Duo a 64 bit con 4 GB di RAM per i server) ed in generale di tutto l’hardware elettronico obsoleto ancora funzionante (d’ufficio e d’intrattenimento domestico come i vecchi grandi televisori LCD/LED utili per la realizzazione dei sistemi di videoconferenza) per attuare piani di innovazione e digitalizzazione frugale avanzata (aperta, sostenibile, conveniente, semplice, minimale, frugale, robusta, resiliente, sicura, accessibile, etica, oltre che preservatrice di sicurezza-privacy-confidenzialità-anonimato) a basso costo presso piccole organizzazioni di field service & service post-vendita industriale con budget insufficienti per acquistare tecnologie informatiche proprietarie e commerciali o con la necessità di accrescere la difesa dagli attacchi ransomware (rafforzando resilienza operativa digitale), tutelando nel contempo la propria privacy durante l’uso dei propri computer e smartphones.

I piani sono basati sull’utilizzo dell’informatica “libera” domestica (smart-remote working) e lavorativa nei piccoli uffici (SOHO) installando ed amministrando PC Linux Debian (desktop, portatili, server, SBC) sistemi di produttività personale (LibreOffice & Office 365 accessibile via web), videoconferenza, collaborazione, condivisione, analisi dati.

Per chi già dispone delle licenze commerciali e necessita anche di un’elevata interoperabilità per l’interscambio dei documenti con i propri clienti è sempre comunque possibile utilizzare (sicuramente più laborioso) anche su Linux (se non sono presenti macro nei files) la suite Office 365 Online/OneDrive (solo mediante l’utilizzo via web/browser) oltre naturalmente a LibreOffice (anche se ad oggi il software non permette una piena compatibilità con fogli elettronici, documenti di testo e presentazioni realizzate nativamente con MS Office).

SMDATA Lab supporta la promozione e diffusione di “strumenti digitali prototipali” (con interfaccia utente prevalentemente in lingua inglese) basati principalmente su desktop Linux, oltre che dell’insieme di tecnologie libere, aperte, resilienti a basso costo (in particolare se si hanno budget limitati per i sistemi informativi), eco-sostenibili, volutamente minimalisti, robuste, scalabili, facilmente amministrabili e ripristinabili (in caso di guasto), oltre che capaci di resistere maggiormente agli attacchi ransomware, preservando nel contempo la privacy degli utenti.

Sempre con l’obiettivo di facilitare l’analisi (estrazione, manipolazione, modellazione, simulazione, reportistica) e condivisione dei dati (oltre ad accrescere le capacità di comunicazione, collaborazione, coordinamento anche in lingua inglese, sempre più richieste ai piccoli subfornitori-subappaltatori nazionali da parte dei loro committenti che già lavorano da anni per i mercati esteri) all’interno di piccoli gruppi di lavoro (anche in modalità remota).

P.S. un particolare che ho sempre apprezzato (avendo operato per anni nel comparto industrial OEMs & EPC contractors) del lavorare nei subappalti per l’oil&gas, petrolchimico, power generation, marine è vedere le aziende “EPC” italiane più grandi spingere nel far comunicare in lingua inglese la maggior parte del proprio personale interno-esterno oltre a tutta la catena di fornitura-appalto. Questo lo si evince di frequente nelle comunicazioni e-mail di commessa anche tra soli connazionali che avvengono quasi sempre in lingua inglese.

Tecnologie ICT Libere utilizzate dal progetto SMDATA Lab

Ad oggi le capacità-competenze del progetto SMDATA LAB prevedono:

  • ricondizionamento (se necessario) e formattazione dei PC desktop/portatili obsoleti Windows esistenti con il sistema operativo Linux (Debian) e software libero (con interfaccia utente in lingua inglese) per la produttività personale (LibreOffice), antivirus, firewall, accesso (se già presenti in azienda) al file server Windows, gestionale ERP (solo se in web, cloud e/o sistemi legacy UNIX), internet e posta elettronica
  • installazione di file server Linux di backup supplementari (ridondanti) per rafforzare l’infrastruttura di archiviazione dati esistente basata su file server Windows (aumentando nel contempo la resilienza agli attacchi ransomware)
  • installazione di piattaforme web (LAMP) “privacy-preserving” (basate sul sistema operativo Linux e software libero) per la comunicazione, condivisione e collaborazione aziendale “asincrona” (anche per lo smart working ed il telelavoro)
  • realizzazione di architetture di rete per l’accesso remoto sicuro ai computer aziendali (solo per PC desktop, portatili e server Linux)
  • installazione di strumenti LibreOffice, Knime, Metabase, DBeaver per l’estrazione, manipolazione, analisi dati, modellistica, simulazione e reportistica con focus su tecniche e strumenti di “contract, project & service management” per la gestione di attività, risorse, tempi nei progetti-servizi tecnici su commessa in campo-cantiere (field service) e service post-vendita industriale internazionale

Le tecnologie libere adottate (ricordo che i software liberi non hanno da contratto nessuna garanzia o prevedono risarcimenti per malfunzionamenti, perdite di dati, adempimenti-infrazioni GDPR, etc.) sono installate gradualmente (inizialmente in sola modalità/architettura “on-premises” e futuribilmente presso data centers locali) nell’infrastruttura informatica esistente attraverso il riutilizzo (eco-sostenibile) e il ricondizionamento di vecchi PC desktop/portatili già in uso (almeno Intel Core 2 Duo a 64 bit con 4 GB di RAM per i server e Core 5 per i desktop/portatili) limitando gli oneri per l’acquisto di nuovo hardware, licenze d’uso, rafforzando nel contempo la tutela della privacy degli utenti e la protezione dai principali attacchi informatici.

Il processo di ammodernamento non influisce sul resto dei desktop, portatili, file server lasciati sotto l’ambiente Windows o sui gestionali (ERP), periferiche, dispositivi di rete. 

In tutti i progetti vengono adottate tecnologie libere, robuste, scalabili e resilienti (agli attacchi informatici) facilmente amministrabili e ripristinabili (in caso di guasto).

Non è prevista l’integrazione con sistemi d’autenticazione centralizzata (Active Directory) o tecnologie esterne (già l’interfacciamento con il protocollo di condivisione SMB Windows presenta a volte problemi) in quanto vanificherebbero la stabilità ed il livello di disponibilità dei sistemi Linux (oltre a complicare la ricerca di malfunzionamenti ed innescare la necessità di dover chiedere il supporto a pagamento anche degli integratori esperti in sistemi Windows).

**I progetti-soluzioni-sistemi-tecnologie si basano sui principi “Efficient-Minimalism” & “KISS” (KEEP IT SIMPLE & SECURE)**

Il valore insostituibile dei tecnici di field service come ambasciatori del service post vendita industriale

Nel comparto altamente competitivo delle applicazioni per l’automazione industriale, della conversione statica di potenza (settore in forte crescita grazie ai piani EU Green per l’elettrificazione ed idrogeno) e dei beni strumentali industriali, dove innovazione, qualità e affidabilità dei prodotti richiedono ingenti e continui sforzi economici, (nonostante i volumi di fatturato e le marginalità siano sempre più sotto pressione) il service post vendita assume un ruolo strategico di crescente importanza.

Oltre alla fornitura di componenti, sistemi, equipaggiamenti, macchinari e attrezzature all’avanguardia, le aziende “lungimiranti” si stanno concentrando sempre di più sulla creazione di relazioni di fiducia e sulla soddisfazione del cliente a lungo termine (obiettivo che con la sola propria forza vendita tradizionale sta diventando sempre più difficile da attuare). In questo contesto, i tecnici di field service sono diventati un prezioso punto di riferimento e, al tempo stesso buoni venditori di contratti service e ricambistica.

In questo post, esplorerò sinteticamente (il tema è molto più ampio, complesso ed articolato) il motivo per cui i tecnici di field service sono fondamentali anche per il “successo commerciale” del servizio post vendita industriale.

I tecnici di field service (in particolare quelli senior) rappresentano la perfetta combinazione di conoscenze tecniche approfondite e capacità di comunicazione eccezionali. Sono gli esperti sul campo che conoscono a fondo i prodotti, tecnologie dell’OEM per il quale da anni lavorano, ma soprattutto gli ambiti di utilizzo (e i relativi limiti-problemi) presso i clienti finali e possono risolvere efficacemente molti dei loro problemi funzionali, manutentivi e produttivi. Questa competenza tecnica consente loro di fornire un supporto ad elevato valore aggiunto, perchè mirato, rapido ed efficiente, facendo risparmiare tempo e denaro ai clienti (o in certi casi aumentando anche la produttività-affidabilità delle linee-processi produttivi/manifatturieri).

Grazie alla loro vasta esperienza e alla familiarità con i prodotti supportati in campo, i tecnici di field service sono in grado di promuovere, illustrare in modo convincente i benefici dei contratti per i “servizi tecnici” oltre all’acquisto della ricambistica originale.

La fiducia è un elemento essenziale in qualsiasi relazione commerciale di successo, e i tecnici di field service più capaci e performanti sono soliti guadagnarsi la fiducia dei clienti attraverso la loro professionalità, la competenza e l’impegno per una risoluzione rapida dei problemi (sarà capitato a tutti i gestori del post-vendita sentirsi richiedere dal cliente sempre e solo quel tecnico particolare per ogni intervento). Poiché lavorano a stretto contatto con i clienti sul campo (a volte per settimane o mesi come nel caso delle messe in servizio più complesse), sviluppano relazioni personali e instaurano un rapporto di fiducia, diventando così i migliori ambasciatori degli OEMs. Questa fiducia è fondamentale per convincere i clienti ad adottare contratti di service a lungo termine e a preferire i prodotti di ricambio originali rispetto a quelli di terze parti.

Questo perchè i tecnici di field service sono i primi a rendersi conto dei vantaggi dei contratti di service a lungo termine e dell’utilizzo di ricambi originali. Essendo direttamente coinvolti nella messa in servizio, ricerca guasti, manutenzione e in certi casi anche nella riparazione dei prodotti. Sono pertanto i primi testimoni delle conseguenze di una manutenzione insufficiente o di ricambi di bassa qualità. Questa consapevolezza li porta a promuovere attivamente i contratti di service e l’utilizzo dei ricambi originali come una soluzione preventiva per evitare costosi guasti o interruzioni della produzione (oltre a ridurre i loro viaggi per interventi in emergenza, che sono quasi sempre un fastidio per lo stesso tecnico di field…..). La loro influenza sulle decisioni di acquisto dei clienti è inestimabile, poiché possono fornire testimonianze concrete dei benefici tangibili derivanti dall’adesione a contratti di service estesi e strutturati.

Per garantire che i tecnici di field service siano costantemente all’avanguardia e in grado di fornire il miglior supporto possibile ai clienti, è però necessario investire in un programma di formazione continua e raccogliere il loro prezioso feed-back dal campo, anche e soprattutto quando l’asset avviato, manutenuto presenta ricorrenti-cronici difetti funzionali (suggerisco sempre di farli accedere al CRM aziendale in modo da integrare e scambiare il loro know-how con il team commerciale service) . La tecnologia e le innovazioni industriali avanzano rapidamente, e i tecnici devono essere preparati ad affrontare le sfide emergenti. La formazione continua non solo li mantiene aggiornati sulle ultime tecnologie, ma migliora anche le loro competenze di vendita e comunicazione. Questo li abilita e li rende maggiormente sicuri nel promuovere in modo convincente il service e la ricambistica originale come parte integrante del pacchetto di assistenza post vendita.

Nella moderna strategia di service post vendita industriale, i tecnici di field service ricoprono un ruolo cruciale come ambasciatori del marchio (l’OEM tradizionalmente prodotto-centrico deve comprendere che al mercato non solo è più sufficiente mostrare capacità ingegneristica e produttiva, se poi il service è sotto dimensionato o peggio inadeguato). La competenza tecnica del reparto service, la fiducia guadagnata attraverso relazioni di lungo termine con i clienti, la promozione attiva dei contratti di service e l’utilizzo della ricambistica originale sono fattori determinanti per il successo a lungo termine delle aziende produttrici di beni strumentali industriali.

Riconosciamo pertanto il valore insostituibile dei tecnici di field service e continuiamo a investire nella loro formazione (anche di stampo commerciale) e sviluppo, poiché questo equivale ad aumentare la soddisfazione dei clienti e il successo del business.

Safety-First!

Di tanto in tanto, in qualche post sul service industriale, mi piace lasciare qualche piccolo ‘Tips’ lato HSE (chi ha lavorato in particolare nelle commesse USA/Japan sarà abituato sin dagli anni 90 ai famosi “Workplace/Safety-First Tips” di fine riunione)

Per non incorrere in operazioni-manovre potenzialmente rischiose in campo-cantiere, le aziende devono sempre affidarsi al vecchio adagio “ad ognuno il proprio mestiere” evitando di deputare (per urgenze e/o savings economici) tecnici di field service con prevalente esperienza-competenza nel digitale (discipline elettroniche, elettriche-segnali, sistemistiche, software) ad operazioni di esecuzione, coordinamento, supervisione (ricoprendo così senza i necessari requisiti di idoneità anche i delicati ruoli di preposto) per lavori di montaggio (dove sono richiesti muletti, carri ponte, gru, PLE) e cablaggi di potenza.

**P.S. leggendo alcuni annunci di lavoro su LinkedIn per elettronici-meccatronici-elettromeccanici industriali junior il mercato del lavoro sembra purtroppo (lato HSE e qualità del lavoro) andare nella direzione opposta, visto che si ricercano anche singoli-giovani tecnici con competenze unificate da montatore-aggiustatore meccanico, elettricista cablatore, sistemista-programmatore PLC. Tali professionisti naturalmente esistono, sono rari e sono il più delle volte dei senior con una decina d’anni di trasferte in campo-cantiere e/o attività manutentiva di fabbrica-impianto alle spalle

Stesso discorso con i ruoli al contrario. E’ potenzialmente rischioso avvalersi di esperti montatori meccanici e cablatori elettrici incaricandoli (senza le necessarie competenze) di effettuare, coordinare, supervisionare lavori (che presuppongono l’energizzazione dei quadri elettrici ed il movimento manuale anche parziale di organi automatici degli equipaggiamenti) di collaudo, pre-commissioning, commissioning, assistenze tecniche, manutenzioni specialistiche.

**P.S. anche se noto a tutti gli operatori dell’industria, ricordo che tra bassa tensione (BT) e media tensione (MT) non c’è diretta-immediata intercambiabilità professionale (in particolare nel passaggio tra BT e MT) se non dietro estensivo specifico addestramento teorico-pratico ed idonea esperienza in affiancamento

Per i non addetti ai lavori, i tecnici di field service (i famosi trasfertisti operai, tecnici, periti, ingegneri) non sono figure tecniche intercambiabili-secondarie-marginali, ma seri e validi professionisti (dotati spesso di una specifica specializzazione/verticalità) che per operare autonomamente ed in solitario (spesso dall’altra parte del pianeta, in nazioni disagiate e senza il supporto di prossimità dell’azienda per la quale lavorano), hanno saputo negli anni apprendere (quasi sempre On-the-Job), distillare e concentrare le necessarie competenze tecniche-ingegneristiche multi-disciplinari necessarie a collaudare, avviare, riparare, manutenere complessi sistemi-equipaggiamenti progettati da diversi uffici d’ingegneria applicativa (meccanica, elettrica, elettromeccanica, elettronica, sistemi, R&D, etc.)

Come affrontare per le organizzazioni di service post-vendita industriale il problema dell’elevato turnover di personale nel field service

Tutti i reparti di service post-vendita industriale hanno appreso da pregresse esperienze che i dipendenti addetti agli interventi di field service che forniscono il miglior servizio tecnico in campo, cantiere, remoto (e-mail, telefono, tele-assistenza, etc.) possono quasi sempre scegliere tra le migliori opportunità lavorative presenti sul mercato, e che più la squadra di field service è efficiente, più è vulnerabile alle lusinghe (potenziali nuove opportunità di lavoro) offerte dalla concorrenza o dallo stesso cliente finale (a volte lo si capisce quando iniziano a richiedere solo e sempre quel particolare tecnico per ogni intervento).

Per evitare l’elevato turnover tipico del comparto i reparti post-vendita “illuminati” rendono la gestione del talento una priorità assoluta e progettano iniziative per reclutare, formare e trattenere i loro manager e tecnici di “Field”.

Nel service per componenti, sistemi, equipaggiamenti, macchinari, impianti industriali complessi e tecnologicamente avanzati (per non parlare di quelli software-intensive), dove sono richiesti skills rari oltre ad una vasta e continua esperienza sul campo non è quasi mai vero l’assunto del tutti sono sostituibili e nessuno è indispensabile.

Per mantenere i veri talenti, i migliori reparti di service progettano percorsi di carriera interessanti e gratificanti e offrono una varietà di incentivi finanziari e non finanziari. Inoltre, sviluppano processi chiari per la pianificazione del personale, la gestione del talento e il reclutamento, e creano piani di carriera flessibili e a lungo termine in particolare per i tecnici di field service. Prevedendo inoltre che dopo una decina di anni non siano più (probabilmente) disponibili per operare sempre all’estero in campo, cantiere e che desiderino ambire ad un nuovo qualificato ruolo in sede presso la casa madre.

In Italia si sono persi negli anni un numero molto elevato di tecnici altamente specializzati ed esperti, che stanchi di operare perennemente in reperibilità, trasferta (anche i trasfertisti hanno o vogliono mettere su famiglia…) sono stati allontanati dalle aziende per le quali hanno lavorato, obbligandoli a reiventarsi in ruoli che a volte nulla hanno a che vedere con il loro pregresso iter professionale o a trasferirsi con tutta la famiglia come expat per lavorare nelle fabbriche-impianti che avevano precedentemente avviato e manutenuto per anni.

Ricordiamoci (se vogliamo fare realmente service post-vendita industriale) che una squadra di field service talentuosa migliora l’efficienza del reparto, aumenta la qualità e “sicurezza sul lavoro” durante gli interventi, riduce i costi operativi/organizzativi e aumenta il fatturato (e relativi margini, profitti) stimolando nel contempo una continua domanda per tutte le linee di service offerte dall’OEM (il field service è a mio avviso da sempre il miglior partner dell’ufficio commerciale).

Inoltre e’ comprovato che per molti paesi, le differenze nella penetrazione del business service/post-vendita che si possono osservare per un OEM dipendono più dalla qualità delle squadre di field service locali/di prossimità che da qualsiasi altro fattore.

Concludo che costruire e trattenere il talento del field service non è solo un problema di risorse umane da risolvere tatticamente, ma è un piano strategico che proietta l’azienda avanti rispetto alla concorrenza.

P.S. consiglio sempre alle organizzazioni di impegnarsi nell’approfondimento della nuova ISO 31030 (travel risk management) oltre che della più generale ISO 31000 (in combinazione con la OSHAS 18001 ed ISO 45001) anche e soprattutto per i lavoratori trasfertisti in solitario

Ma Stiamo Realmente Facendo Service Post-Vendita Industriale ??

Dal 2003 promuovo una maggior cultura e conoscenza generale sulle operations di service post-vendita nazionale/internazionale in ambito industriale.

Mi piace ogni tanto andare contro corrente, lontano dal sensazionalismo di molte analisi di mercato e studi accademici che si trovano su internet (fin troppo ottimistiche rispetto alla quotidiana realtà lavorativa) inserendo nei nostri case-history, anche esempi di prassi operative di service da evitare, oltre alla descrizione di alcune criticità tipiche del comparto, in particolare nelle medie e grandi aziende dove inizia a diventare elevato il numero di clienti, stakeholders, transazioni ed escalations (un termine elegante e professionale per indicare dagli addetti ai lavori “emergenze e crisi”) da gestire.

E’ sufficiente navigare su internet e visitare i vari siti web aziendali per realizzare che ormai ogni impresa, dal piccolo rivenditore industriale al grande OEM appartenente alla multinazionale di turno, è ormai da anni dotato di un’efficiente e strutturata organizzazione (magari H24/365) per il service post-vendita industriale. Ma se andiamo a grattare via lo spesso strato di marketing, scopriamo che in molte realtà le cose sono ben diverse e ancora ferme ai modelli organizzativi degli inizi anni 90 (quando per la prima volta si è iniziato a parlare di service nel comparto industriale e le prime organizzazioni post-vendita minimali venivano denominante uffici servizi assistenza tecnica “SAT”).

Tralasciando le organizzazioni dove il service post-vendita non è ancora diventato un centro di profitto (perchè magari si teme di perdere i clienti a fargli pagare oltre al prodotto anche l’assistenza…) ed è costituito essenzialmente da un servizio “spot” di assistenza in campo operato da personale interno di produzione (gestito solitamente dal commerciale), oltre che dal supporto telefonico erogato direttamente dall’impiegato di turno dell’ufficio tecnico (e fuori dall’orario lavorativo direttamente dal titolare), concentriamo la nostra analisi invece sulle aziende con volumi di affari “Service” importanti (almeno come percentuale di fatturato).

E’ mia prassi, prima di accettare ogni nuovo incarico fare una fotografia ed analizzare il reale stato strutturale, organizzativo e di performance dell’organizzazione di service post-vendita industriale che andrò a supportare con i miei interventi consulenziali ed esecutivi. Tra le varie analisi una delle più importanti è il concorso delle varie linee di servizi (commercializzabili) alla generazione del volume d’affari post-vendita.

Sembra anomalo (se confrontato con quello che si legge sensazionalisticamente su internet), ma nella realtà molte organizzazioni (piccole e grandi) che credono di operare da anni con successo ed elevati volumi e marginalità nel service sono in realtà ancora semplici estensioni del tradizionale business basato sulla vendita di nuovi prodotti (commercializzazione).

Questo perchè il grosso del giro d’affari scaturisce principalmente da attività di installazione, montaggio, cablaggio, messa in servizio, avviamento e vendita ricambi (principalmente) per “nuovi” sistemi, equipaggiamenti, macchinari, mentre solo una minima parte è generata dallo sfuttamento dell’intero ciclo di vita della propria “vecchia” base di installato e quindi da un portfolio “contratti strutturati” per prestazioni manutentive complesse in campo (field service/lifecycle) e progetti di ammodernamento (upgrade, retrofit, revamping, replacement, expansion).

Tutto ciò si traduce che quando la produzione ha un calo del lavoro (fenomeno molto frequente negli ultimi anni a causa del susseguirsi di varie crisi internazionali) e quindi una diminuzione del fatturato per nuovi prodotti lo stesso avviene lato vendita di servizi, facendo venire meno l’effetto calmierante (cuscinetto) che il service post-vendita dovrebbe anche ricoprire nei momenti di congiuntura economica negativa.

E’ innegabile che i fatturati dei montaggi, cablaggi, messe in servizio, avviamenti possano essere in alcuni casi considerevoli e con marginalità almeno doppie rispetto alla vendita di prodotto e possano pertanto divenire strutturali al raggiungimento di obiettivi economici di performance dei reparti service, oltre che fonte di reinvestimento (nelle aziende illuminate) per accrescerne l’organizzazione. Cionondimeno introducono una distorsione sui reali obiettivi dei business per il post-vendita che è invece quello di sfruttare continuativamente opportunità (anche minime) di fatturato e raccolta di profitti per l’intero ciclo di vita del prodotto (a meno che non sia più conveniente e redditizio sostituirlo col nuovo).

Esiste poi il problema della “complessità tecnica” che contraddistingue le messe in servizio e gli avviamenti, perchè il prodotto va fatto funzionare per la prima volta (con tutte le incognite del caso) e potrebbe (anzi sicuramente) presentare criticità progettuali inaspettate o essere carente (capita molto più spesso di quanto si crede) di funzionalità e specifiche contrattuali perchè oggetto di recenti varianti in corso d’opera che non è stato possibile testare completamente (tipico nelle produzioni di equipaggiamenti/macchinari ETO/One-of-a-Kind e sistemi d’automazione discreti/elettromeccanici/meccatronici con una preponderante componente “software-intensive”).

Il fatto poi che la messa in servizio, avviamento non sia più gestita dal reparto di progettazione/produzione introduce delle latenze operative ed organizzative tra il service (che non può essere a conoscenza di tutto l’excursus progettuale, magari della durata di diversi mesi), il team di ingegneria interno (che si ritrova ora magari completamente ed urgentemente impegnato su un nuovo progetto) ed il cliente che si aspetta velocità e rapidità di esecuzione nell’affrontare ogni problematica sul campo per partire/ripartire con la produzione.

Un’altra componente che declassa a semplice ufficio di assistenza tecnica (stile anni 90) molte delle organizzazioni di service post-vendita industriale di molte aziende nazionali è l’incapacità di operare fuori dall’orario lavorativo o durante le festività con quasi gli stessi livelli di performance offerti nei normali orari di lavoro settimanali.

Questo può essere (forse) normale per i clienti in Europa, accettabile per chi opera nelle aree degli emirati, medio oriente (la domenica qui si lavora e si riposa il venerdì), ma non è più sostenibile quando la differenza di fuso orario (oltre che dei periodi di ferie e festività) inizia a farsi importante (Stati Uniti, America Latina, India ed Estremo Oriente).

In questi casi molte delle organizzazioni service cessano momentaneamente di performare adeguatamente relegando a pochi volenterosi tecnici progettisti e venditori/gestori/operatori che da soli in ufficio, a casa il week-end o comunque principalmente fuori dall’orario lavorativo si ritrovano a tamponare telefonicamente o per e-mail il temporaneo depotenziamento dell’organizzazione per la quale lavorano. Anche e soprattutto per tali motivi di carente sincronizzazione oraria-lavorativa serve sempre pensare allo sviluppo di service centers di prossimità ai clienti (almeno per i più importanti).

La stessa criticità è poi ancor più amplificata per i tecnici trasfertisti (field service engineers) e i vari gestori-coordinatori “expat/resident” sul campo che devono pazientare (a volte facendo fronte a grandi pressioni dei clienti) in attesa della riapertura degli uffici in sede per essere nuovamente supportati tecnicamente e logisticamente.

Esempi dal Campo:

** La gestione del service industriale reattiva travestita da preventiva **

E’ risaputo che gli end-user (i clienti del comparto service industriale) sono diventati molto più esperti e attenti ai costi.
Oggi molti dei responsabili di impianto, stabilimento e manutenzione (che sono poi gli interlocutori principali per chi si occupa delle vendite di servizi tecnici) vedono il service industriale moderno offerto dai fornitori come indispensabile, anche se a volte eccessivamente costoso-pervasivo e che (se non regolamentato) alla lunga potrebbe esternalizzare parte delle loro mansioni, pertanto tendono (comprensibilmente) a mostrare interesse solo per un numero limitato e mirato di servizi sufficienti per essere supportati principalmente nelle situazioni più complesse.

Uno dei problemi ricorrenti e principali del cliente è quella di limitare gli interventi in emergenza dovuti a guasti improvvisi della base d’installato.

Questa esigenza ha innescato negli anni da parte dei fornitori di beni strumentali industriali la messa a punto di contratti di manutenzione preventiva (ancora prima della predittiva), ma spesso è solo washing in salsa marketing (realizzare una patinata brochure sugli innumerevoli servizi post-vendita da proporre al cliente richiede una settimana, ma mettere in piedi un efficiente-strutturata-esperta organizzazione per erogarli sistematicamente h24 richiede mesi se non anni..) o meglio si tratta della tradizionale gestione service reattiva su chiamata (in emergenza) travestita da preventiva.

E’ vero sul contratto c’è scritto “manutenzione preventiva”.
Ma nella pratica? Si interviene in campo principalmente quando qualcosa si guasta.
Ripristinato il componente-sistema-macchinario il tecnico field service redige un report minimale e poi nessun feedback dell’ufficio tecnico del fornitore service, nessuna proposta migliorativa al cliente.
Solo: “È tutto a posto e se non lo è, monitoreremo (che per mia esperienza dal 1993 vuol dire di sovente non fare nulla e attendere sperando che il problema non si ripresenti)”

Ma il cliente non vuole solo un “OK”.
Vuole sapere cosa è successo, come evitarlo in futuro, e che impatto ha avuto (spesso ha anche pagato anticipatamente per la redazione di una RCA Root Cause Analysis).
Ma alla fine raramente qualcuno analizza i dati del report e delle misure in campo e/o propone un fermo programmato di approfondimento.

Il service non è solo intervento in campo, prestazione tecnica. È anche comunicazione.
E se il tecnico di field service ed i progettisti dell’ingegneria non chiudono il cerchio, stanno lasciando valore sul campo.
Ogni volta.

Il cliente non si lamenta… ancora.
Ma quando avrà un fermo produzione serio, si chiederà:
“Ma allora a cosa serviva questo contratto?”
E lì perdi tutto: fiducia, rinnovo, reputazione.
La manutenzione preventiva si fa prima, non dopo.
Serve metodo.
Serve visione.
Serve cultura.