Innovare gradualmente, a basso costo “partendo dal basso”

Questo post prende spunto da un interessante articolo di uno dei co-fondatori di Arduino sostenitore dell’idea che per favorire l’innovazione in Italia si debba “partire dal basso”.

Già prima della pandemia ho avuto modo di visitare entusiasticamente numerosi eventi Industria 4.0 presso diversi innovation hub, ma nel tempo ho ahimè quasi sempre rilevato una scarsa partecipazione di una buona fetta (la più grande) del tessuto imprenditoriale manifatturiero locale (artigiani, ditte individuali, micro-piccole imprese a conduzione familiare).

Parlando con I pochi proprietari di officine terziste presenti, le risposte tipo erano quasi sempre “interessante, ma non siamo sufficientemente grandi e pronti per adottare tali soluzioni” o “tecnologie sicuramente troppo care per la nostra impresa”.

In effetti escludendo I progetti Industria 4.0 eseguiti nelle grandi e medie imprese nazionali (che sono poi quelli pubblicizzati sulle riviste di settore), nelle piccole e micro realtà aziendali solo il meccanismo dell’incentivo fiscale per l’acquisto di nuove attrezzature ha innescato qualche processo di innovazione (più che altro sostituzione di macchinari obsoleti ed installazione di piccoli robot collaborativi) che comunque è da considerarsi positivo.

Ma cosa è mancato affinchè l’iniziativa coinvolgesse un maggior numero di aziende del territorio ed innescasse la creazione di numerosi nuovi posti di lavoro qualificati (così come teorizzato, previsto durante la stesura del piano d’innovazione)? Al solito mi vengono in aiuto gli studi dei premi nobel per l’economia 2019 (Banerjee & Duflo) che hanno compreso quanto I modelli economici (fallimenti & successi) utilizzati per la crescita dei paesi in via di sviluppo siano in parte anche adattabili e confrontabili con quelli delle nazioni più ricche che da anni si trovano cronicamente intrappolati in una congiuntura economica non favorevole e non dispongono di tutele per la propria sovranità tecnologica.

Uno degli errori delle politiche economiche di nuova generazione è quella di credere (o far credere) che per far crescere una nazione sia sufficiente adottare le ultime teconologie (in primis quelle collegate ad internet, alla connettività ed al digitale più in generale), in realtà molti studi (il più noto è il rapporto Spence https://www.sussidiarieta.net/nuova-atlantide/cn2790/spence-l-rsquo-economia-riparte-ma-a-guadagnarci-saranno-pochi.html – https://openknowledge.worldbank.org/handle/10986/6507) dimostrano che la maggior parte delle “innovazioni” sviluppate dai paesi più all’avanguardia non sono il più delle volte adatte alla maggior parte delle imprese (anche europee o statunitensi) che operano nei mercati locali più tradizionali.

Ad esempio possono impiegare troppa energia (in molti se ne stanno rendendo conto in questi mesi) rispetto a quando il lavoro era eseguito manualmente da operatori. Richiedono lavoratori qualificati (operatori, manutentori, etc.) che non si trovano o prevedono giustamente salari molto elevati (visto l’alto grado specialistico di competenze richieste sul lavoro). Sono costose in termini di prodotto e servizi post-vendita. Spesso sono sviluppati e commercializzati (anche se le filiali sono capillari sul territorio) da “monopoli” europei, statunitensi, del far-east e questo oggi potrebbe comportare un sovraprezzo crescente (oltre a criticità logistiche nella catena di fornitura).

Inoltre il problema principale è che molte innovazioni dell’Industria 4.0 (ma l’esempio è adattabile a qualsiasi altro comparto della tecnologia) sono isolate dal contesto, senza un adeguato collegamento con le specifiche necessità (e capacità) di una micro-piccola impresa che richiede invece di innovare gradualmente, a basso costo “partendo dal basso”.  

PERCHE PROMUOVO E SUPPORTO L’ ADOZIONE DELL’ INFORMATICA LIBERA SUL TERRITORIO

Lettore di saggi-ricerche sulle asimmetrie economico-sociali derivanti dai cambiamenti nel mondo del lavoro oltre che promotore degli emergenti modelli di imprenditorialità coesiva ed etica (es. modello Olivettiano creatore di valore e benessere per tutta la società), umanesimo industriale, economia di prossimità generativa e crescita economica alternativi (in grado di innescarsi-partire dal basso, sviluppare legami virtuosi-sostenibili tra impresa, collaboratori, territorio, ambiente, stakeholder, shareholder) anche basati sull’adozione-riuso di tecnologie minimaliste/low-cost e pratiche d’innovazione sul territorio basate sull’ingegneria/innovazione frugale e la sovranità-indipendenza tecnologica (dove possibile).

Mi sto inoltre specializzando in informatica libera (Open Source) minimalista, frugal engineering/innovation e tecnologie digitali aperte, etiche, sostenibili anche e soprattutto per proteggersi dai ransomware, salvaguardare la propria privacy e migliorare l’anonimato in rete oltre che dalla pervasività, dipendenza, influenza, disinformazione, manipolazione, condizionamento (culturale, sociologico, psicologico), ingerenza (e relativi rischi psicologici, sociali, sicurezza, frodi) derivante dall’uso delle piattaforme-servizi internet (sia da PC che da telefonia mobile).