Non Tutte le Linee di Service Industriale sono Redditizie

In anni di pregressa attività lavorativa ho avuto modo di specializzarmi nella vendita, gestione, esecuzione di complessi contratti e progetti (nazionali/esteri) su commessa nel service post-vendita industriale in particolare lato beni strumentali/sistemi “software-intensive” (customer care, site/field, after-sales, aftermarket, lifecycle) operando sempre con una forte attenzione rivolta a ridurre ed evitare i rischi e le criticità tipiche del comparto, in particolare in quest’ultimo periodo che ha visto la nascita di un nuovo paradigma di business (ancora scarsamente diffuso in Italia) per gli OEMs basato sulla servitizzazione manifatturiera.

Un modello innovativo già in uso da più di un decennio nel comparto software/hardware dei moderni sistemi informativi (basato sinteticamente su un meccanismo di sottoscrizione “paghi per l’uso” con service post-vendita incluso nel canone) ma potenzialmente rischioso per i fornitori di beni strumentali industriali che ad oggi non sono stati sistematicamente in grado di vendere e gestire profittevolmente il proprio service post-vendita basato ancora su pratiche commerciali e contrattuali più tradizionali basate su contabilizzazioni economiche principalmente a misura (soprattutto per le attività in campo internazionali) e solo in parte a corpo.

E’ risaputo che gli end-user sono diventati molto più esperti e attenti ai costi. Oggi molti dei responsabili di impianto, stabilimento e manutenzione (che sono poi gli interlocutori principali per chi si occupa delle vendite di servizi tecnici) vedono il service industriale moderno offerto dai fornitori come indispensabile, anche se a volte eccessivamente costoso-pervasivo e che (se non regolamentato) alla lunga potrebbe esternalizzare parte delle loro mansioni, pertanto tendono (comprensibilmente) a mostrare interesse solo per un numero limitato e mirato di servizi sufficienti per essere supportati principalmente nelle situazioni più complesse e/o di emergenza.

Per tale motivo (pur consapevoli di veder rigettata l’offerta) è necessario presentarsi dal potenziale cliente (end-user) sempre e solo con una proposta commerciale di valore ed integrata (stando ben attenti a valutare le richieste di estensioni di garanzia su componenti, sistemi, equipaggiamenti e macchinari datati), senza scorporare o frammentare (anche in termini economici) la linea di servizio offerta, pena il rischio di finire relegati nella sola vendita (anti economica) di singole ma dispendiose attività delle quali elenco una piccolissima parte a titolo di esempio:

  • ricerca di un numero limitato e mirato di componenti commerciali difettosi fuori produzione (il business del service industriale per essere sostenibile deve essere in grado di vendere anche set mirati e completi di ricambi, lasciando al mercato dei broker di materiale le ricerche mirate di singoli componenti commerciali sciolti ed osboleti)
  • incarichi per la risoluzione “spot” di singole e croniche problematiche tecniche (senza far sottoscrivere un accordo di assistenza e manutenzione almeno annuale)
  • offerta gratuita di supporto telefonico ed e-mail (in orari di ufficio) senza che venga sottoscritto un accordo di assistenza e manutenzione (ritenendo erroneamente che il semplice servizio e-mail/telefonico vada fatto pagare solo fuori dall’orario lavorativo, salvo poi scoprire che il cliente “furbetto” sarà da li in poi libero di impegnare-monopolizzare (senza limiti di tempo) al telefono/e-mail il personale tecnico/commerciale ogni qualvolta avrà un problema (il più delle volte banale), sottraendolo magari da altre attività di supporto ai clienti paganti con contratto)
  • avvantaggiarsi commercialmente comunicando al cliente oltre ai canali telefonici/e-mail dedicati al service anche i riferimenti di contatto diretti dei propri responsabili aziendali. Prassi che servirà solo a tagliar fuori l’organizzazione di service post-vendita preposta ed innescare continue e caotiche escalations interne (e relative disfunzionalità organizzative nel breve-medio termine anche per tutti gli altri interventi di field service in preparazione e/o già in corso)
  • disponibilità all’invio “spot” di tecnici in campo dietro semplice richiesta del cliente (fatturato a misura/consuntivo) senza che venga anche sottoscritto un contratto di reperibilità, assistenza e manutenzione per i futuri interventi (fondamentale per coprire i costi di supporto-analisi tecnica, lifecycle-management/RCA specifici per la sua base d’installato)
  • micro lavori di sostituzione componentistica obsoleta (phase-out) o ammodernamenti (upgrade, retrofit, revamping) di piccola entità (e fatturato/marginalità) comparati al valore e complessità del prodotto oggetto dell’intervento. Attività che non serviranno altro che a far riaccendere onerose-rischiose garanzie, magari su un sistema/equipaggiamento/macchinario ampiamente già a fine vita (che poteva quindi essere riammodernato integralmente o addirittura rimpiazzato con uno nuovo!!). Tale problematica la segnaliamo anche alle numerose startup/società di informatica che si sono buttate (senza pregressa esperienza contrattuale, esecutiva nell’automazione industriale) nel settore Industria 4.0/Manutenzione 4.0, ritrovandosi poi anche loro invischiate (alla stregua degli OEMs) nelle sempre più frequenti dispute commerciali sulle cause dei fermi macchina
  • interventi in garanzia perchè il cliente ritiene (a volte senza dare evidenze o permettere una valutazione contradittoria) che le precedenti attività tecniche in campo (field-service) non sono risultate soddisfacenti o hanno procurato successivamente altre problematiche
  • noleggio di strumentazione da campo senza richiedere la presenza del tecnico; o noleggio/affitto dei pezzi di ricambi più costosi (rifacendosi grossolanamente agli emergenti modelli di business della servitizzazione manifatturiera, che sono in realtà ben altra cosa) sino alla richiesta per la creazione di un magazzino ricambi conto deposito da parte del fornitore (senza che sia poi garantito da parte del cliente l’acquisto dei materiali al termine del contratto)
  • interventi di field service senza contabilizzazione a misura delle ore e oneri di viaggio, vitto, alloggio (sostituiti dal cliente con un ammontare a forfait)

Esistono anche convenzioni contrattuali (a “scalare” o a “gettone”) con le quali gli uffici acquisti (che sanno fare bene il loro mestiere) accrescono (sulla carta) semplici esigenze “spot” per interventi e ricambistica (solitamente in emergenza) trasformandole (per incentivare il fornitore di service industriale) in corposi ed articolati accordi quadro (anche dall’ammontare importante) di reperibilità, assistenza e manutenzione programmata, ma vincolati nell’effettiva esecuzione e fatturazione (specialmente per le manutenzioni preventive, predittive) dal rilascio di ordini supplementari specifici per l’intervento.

Il che si traduce poi per il fornitore nell’avere nell’anno un’ entrata ordini potenziale (da parte del singolo cliente) con un ragguardevole ammontare massimale specificato “idealmente” sulla carta, salvo poi arrivarne a fatturare solo una piccola parte, magari dopo aver anche affrontato difficoltà logistiche e operative inaspettate (senza tralasciare eventuali extra-costi non previsti, o peggio assumere ulteriori tecnici di field service da dedicare al contratto che non verranno poi impiegati al massimo della loro disponibilità temporale).

Quanto sopra sono solo banali esempi delle limitate e pertanto anti economiche richieste che potrebbero scaturire quando si contatta per la prima volta il proprio cliente per promuovere e vendere anche forniture e contratti stutturati per il service post-vendita industriale, come quelli sotto indicati:

contratti annuali per il supporto telefonico, e-mail, monitoraggio, diagnostica, e assistenza remota per la base installata

  • contratti annuali per interventi tecnici in campo (anche in complessi contesti project-based EPC, heavily regulated countries, marine, harsh/hazardous areas & hostile environments)
  • forniture di set completi di ricambi
  • fermate manutentive minor e major (durante turnaround, shutdown ed outage)
  • manutenzioni preventive/predittive con l’ausilio di strumentazione da campo
  • installazioni, cablaggi, avviamenti e messe in servizio (commissioning, startup, handover) anche in contesti (appalti/subappalti) EPC
  • test e collaudi (system, string e performance test)
  • manutenzioni, riparazioni, revisioni e ricondizionamenti
  • accordi quadro e contratti di service a lungo termine (reperibilità telefonica, pronti a partire, LTSA)
  • progetti di ammodernamento (upgrade, retrofit, revamping, replacement, expansion) lato componenti, dispositivi, sistemi, architetture per aumentare il ciclo di vita della base installata
  • progetti di ammodernamento Industria 4.0/Manutenzione 4.0 (upgrade, retrofit, revamping, IT/OT integration, OT/SCADA/IACS/ICS cybersecurity) software-intensive necessari per attivare nuovi servizi industriali digitali (rivolti alla manutenzione predittiva) di monitoraggio, diagnostica, e assistenza remota per la base installata
  • consulenze per l’ingegneria di manutenzione, affidabilità, continuità di servizio
  • servizi di root cause analysis (RCA) ed ingegneria forense
  • formazione ed addestramento
  • noleggio e taratura di strumentazione da campo
  • studi, ricerche e comparazioni di componentistica equivalente per la gestione di obsolescenze

Chi opera nel comparto dei beni strumentali industriali deve sempre aver ben chiaro che l’obiettivo commerciale “fair-equilibrato” di chi vende contratti di service post-vendita industriale non è creare eccessive-opportunistiche rendite all’azienda per la quale lavora (che è la base della spesso discutibile “subscription-economy” di molte aziende del digitale, media, telco), ma di aiutare realmente-concretamente (fidelizzando) il cliente (rendendosi disponibili-presenti solo quando veramente serve) senza cercare di sostituirsi completamente al loro personale manutentivo interno, avendo però ben chiaro, d’altro canto, che la propria organizzazione di service ha anche dei costi importanti (mensilmente) da coprire.

Costi che crescono in base al numero di tecnici di field service a disposizione (in particolare se questi non sono sempre impegnati in campo e rimangono su centro di costo in attesa di commesse) o perchè si è voluto dotare il proprio magazzino di un numero elevato di ricambi a pronto per far fronte alle emergenze, ma che rimangono poi invenduti a fine anno.

Ma Stiamo Realmente Facendo Service Post-Vendita Industriale ??

Dal 2003 promuovo una maggior cultura e conoscenza generale sulle operations di service post-vendita nazionale/internazionale in ambito industriale.

Mi piace ogni tanto andare contro corrente, lontano dal sensazionalismo di molte analisi di mercato e studi accademici che si trovano su internet (fin troppo ottimistiche rispetto alla quotidiana realtà lavorativa) inserendo nei nostri case-history, anche esempi di prassi operative di service da evitare, oltre alla descrizione di alcune criticità tipiche del comparto, in particolare nelle medie e grandi aziende dove inizia a diventare elevato il numero di clienti, stakeholders, transazioni ed escalations (un termine elegante e professionale per indicare dagli addetti ai lavori “emergenze e crisi”) da gestire.

E’ sufficiente navigare su internet e visitare i vari siti web aziendali per realizzare che ormai ogni impresa, dal piccolo rivenditore industriale al grande OEM appartenente alla multinazionale di turno, è ormai da anni dotato di un’efficiente e strutturata organizzazione (magari H24/365) per il service post-vendita industriale. Ma se andiamo a grattare via lo spesso strato di marketing, scopriamo che in molte realtà le cose sono ben diverse e ancora ferme ai modelli organizzativi degli inizi anni 90 (quando per la prima volta si è iniziato a parlare di service nel comparto industriale e le prime organizzazioni post-vendita minimali venivano denominante uffici servizi assistenza tecnica “SAT”).

Tralasciando le organizzazioni dove il service post-vendita non è ancora diventato un centro di profitto (perchè magari si teme di perdere i clienti a fargli pagare oltre al prodotto anche l’assistenza…) ed è costituito essenzialmente da un servizio “spot” di assistenza in campo operato da personale interno di produzione (gestito solitamente dal commerciale), oltre che dal supporto telefonico erogato direttamente dall’impiegato di turno dell’ufficio tecnico (e fuori dall’orario lavorativo direttamente dal titolare), concentriamo la nostra analisi invece sulle aziende con volumi di affari “Service” importanti (almeno come percentuale di fatturato).

E’ mia prassi, prima di accettare ogni nuovo incarico fare una fotografia ed analizzare il reale stato strutturale, organizzativo e di performance dell’organizzazione di service post-vendita industriale che andrò a supportare con i miei interventi consulenziali ed esecutivi. Tra le varie analisi una delle più importanti è il concorso delle varie linee di servizi (commercializzabili) alla generazione del volume d’affari post-vendita.

Sembra anomalo (se confrontato con quello che si legge sensazionalisticamente su internet), ma nella realtà molte organizzazioni (piccole e grandi) che credono di operare da anni con successo ed elevati volumi e marginalità nel service sono in realtà ancora semplici estensioni del tradizionale business basato sulla vendita di nuovi prodotti (commercializzazione).

Questo perchè il grosso del giro d’affari scaturisce principalmente da attività di installazione, montaggio, cablaggio, messa in servizio, avviamento e vendita ricambi (principalmente) per “nuovi” sistemi, equipaggiamenti, macchinari, mentre solo una minima parte è generata dallo sfuttamento dell’intero ciclo di vita della propria “vecchia” base di installato e quindi da un portfolio “contratti strutturati” per prestazioni manutentive complesse in campo (field service/lifecycle) e progetti di ammodernamento (upgrade, retrofit, revamping, replacement, expansion).

Tutto ciò si traduce che quando la produzione ha un calo del lavoro (fenomeno molto frequente negli ultimi anni a causa del susseguirsi di varie crisi internazionali) e quindi una diminuzione del fatturato per nuovi prodotti lo stesso avviene lato vendita di servizi, facendo venire meno l’effetto calmierante (cuscinetto) che il service post-vendita dovrebbe anche ricoprire nei momenti di congiuntura economica negativa.

E’ innegabile che i fatturati dei montaggi, cablaggi, messe in servizio, avviamenti possano essere in alcuni casi considerevoli e con marginalità almeno doppie rispetto alla vendita di prodotto e possano pertanto divenire strutturali al raggiungimento di obiettivi economici di performance dei reparti service, oltre che fonte di reinvestimento (nelle aziende illuminate) per accrescerne l’organizzazione. Cionondimeno introducono una distorsione sui reali obiettivi dei business per il post-vendita che è invece quello di sfruttare continuativamente opportunità (anche minime) di fatturato e raccolta di profitti per l’intero ciclo di vita del prodotto (a meno che non sia più conveniente e redditizio sostituirlo col nuovo).

Esiste poi il problema della “complessità tecnica” che contraddistingue le messe in servizio e gli avviamenti, perchè il prodotto va fatto funzionare per la prima volta (con tutte le incognite del caso) e potrebbe (anzi sicuramente) presentare criticità progettuali inaspettate o essere carente (capita molto più spesso di quanto si crede) di funzionalità e specifiche contrattuali perchè oggetto di recenti varianti in corso d’opera che non è stato possibile testare completamente (tipico nelle produzioni di equipaggiamenti/macchinari ETO/One-of-a-Kind e sistemi d’automazione discreti/elettromeccanici/meccatronici con una preponderante componente “software-intensive”).

Il fatto poi che la messa in servizio, avviamento non sia più gestita dal reparto di progettazione/produzione introduce delle latenze operative ed organizzative tra il service (che non può essere a conoscenza di tutto l’excursus progettuale, magari della durata di diversi mesi), il team di ingegneria interno (che si ritrova ora magari completamente ed urgentemente impegnato su un nuovo progetto) ed il cliente che si aspetta velocità e rapidità di esecuzione nell’affrontare ogni problematica sul campo per partire/ripartire con la produzione.

Un’altra componente che declassa a semplice ufficio di assistenza tecnica (stile anni 90) molte delle organizzazioni di service post-vendita industriale di molte aziende nazionali è l’incapacità di operare fuori dall’orario lavorativo o durante le festività con quasi gli stessi livelli di performance offerti nei normali orari di lavoro settimanali.

Questo può essere (forse) normale per i clienti in Europa, accettabile per chi opera nelle aree degli emirati, medio oriente (la domenica qui si lavora e si riposa il venerdì), ma non è più sostenibile quando la differenza di fuso orario (oltre che dei periodi di ferie e festività) inizia a farsi importante (Stati Uniti, America Latina, India ed Estremo Oriente).

In questi casi molte delle organizzazioni service cessano momentaneamente di performare adeguatamente relegando a pochi volenterosi tecnici progettisti e venditori/gestori/operatori che da soli in ufficio, a casa il week-end o comunque principalmente fuori dall’orario lavorativo si ritrovano a tamponare telefonicamente o per e-mail il temporaneo depotenziamento dell’organizzazione per la quale lavorano. Anche e soprattutto per tali motivi di carente sincronizzazione oraria-lavorativa serve sempre pensare allo sviluppo di service centers di prossimità ai clienti (almeno per i più importanti).

La stessa criticità è poi ancor più amplificata per i tecnici trasfertisti (field service engineers) e i vari gestori-coordinatori “expat/resident” sul campo che devono pazientare (a volte facendo fronte a grandi pressioni dei clienti) in attesa della riapertura degli uffici in sede per essere nuovamente supportati tecnicamente e logisticamente.

Pro & Contro del Service Post-Vendita Industriale

Dal 2003 promuovo una maggior cultura e conoscenza sulle operations di service post-vendita/field service nazionale/internazionale in ambito industriale.

Mi piace ogni tanto andare contro corrente, lontano dal sensazionalismo di molte analisi di mercato e studi accademici che si trovano su internet (fin troppo ottimistiche rispetto alla quotidiana realtà lavorativa) inserendo nei miei case-history, anche esempi di prassi operative di service da evitare, oltre alla descrizione di alcune criticità tipiche del comparto, in particolare nelle medie e grandi aziende dove inizia a diventare elevato il numero di clienti, stakeholders, transazioni ed escalations (un termine elegante e professionale per indicare dagli addetti ai lavori “emergenze e crisi”) da gestire.

Il business dei contratti di service post-vendita industriale (soprattutto in tempi di forte concorrenza e continua decrescita economica) rappresenta in via generale (nonostante le numerose difficoltà per attuarla) la miglior strategia commerciale per integrare sensibilmente il proprio fatturato con nuove linee di ricavi, accrescere i margini e migliorare la soddisfazione del cliente, fidelizzandolo in vista di nuovi forniture e progetti.

I vantaggi sono molteplici, perchè l’offerta di service post-vendita industriale (anche se limitata nei volumi di fatturato) se eseguita integralmente, professionalmente e fedelmente secondo le aspettative della clientela, rimane comunque maggiormente reddittiva rispetto alla vendita del prodotto, scalabile nel medio termine, fortemente personalizzabile, meno soggetta alle competizioni sul prezzo, difficilmente replicabile (se basata sul capitale di conoscenze tecniche e di utilizzo del prodotto) e soprattutto sostenibile, durevole nel lungo periodo oltre che programmabile in funzione della dimensione della propria base installata.

Esiste inoltre un vantaggio commerciale non indifferente perchè la relazione di service genera quasi sempre un contatto molto più stretto e continuativo con il cliente (e con i numerosi attori della sua organizzazione, oltre che in taluni casi con i suoi stessi clienti finali) rispetto alle tradizionali relazioni basate sulla vendita di prodotto, il più delle volte limitate alla sola trattativa commerciale (oltre che quasi sempre relegata al solo personale degli acquisti e progettazione). In questo settore i venditori più performanti sono il più delle volte anche gli ex gestori dei contratti (after-sales project & service managers oltre ai tecnici di field service) che hanno deciso di abbracciare il mondo delle vendite.

Sappiamo anche che non è semplice, rapido ed economico attuare tale strategia (in particolare nei periodi con forti limitazioni agli spostamenti, viaggi ed incontri di business) dal momento che la stessa richiede un drastico cambio di cultura, organizzazione e competenza aziendale. Innanzitutto vendere servizi è completamente diverso dal vendere prodotti (in particolare per chi da anni è abituato a vendere, regalando sistematicamente il servizio “post-vendita” come concessione supplementare o extra sconto nelle trattative commerciali), inoltre una semplice attività di service (se mal gestita) può impattare il più delle volte in maniera rapida, inaspettata e trasversale su tutta l’organizzazione aziendale, oltre che scalare verticalmente sino ai vertici dell’azienda (escalations).

Anche le aziende più strutturate che da anni lavorano con centri di profitto basati sul service industriale vivono di frequente un intensa tensione tra le business unit di progettazione-produzione prodotto (commercializzazione) e post-vendita (after-sales, aftermarket, field-service). Principalmente per dispute sulle disponibilità delle risorse trasversali condivise (solitamente magazzino, spedizioni, ingegneria e produzione) o per i vicendevoli scarichi di garanzie, costi e oneri vari a difesa del proprio conto economico di commessa e reparto.

Purtroppo molte imprese hanno nel tempo sottovalutato l’impatto culturale, commerciale ed organizzativo del service post-vendita moderno (oggi sempre più nuova fonte di ricavi e non più centro di costo come in passato) relegando ad un numero sottodimensionato di coordinatori, operatori front-office, back-office e tecnici di assistenza (field service engineers) la gestione di richieste cliente e l’esecuzione di complessi interventi in campo. Ritrovandosi a volte con l’organizzazione service isolata dal resto dell’azienda (che continua ad operare secondo i tradizionali paradigmi prodotto-centrici ) e con l’attenzione rivolta eccessivamente alla performance economica (generazione di fatturato e salvaguardia delle marginalità), il più delle volte a discapito della soddisfazione cliente.

Così facendo queste imprese commettono il tipico errore di chi vuole operare nel business del service post-vendita (ma ne farebbero probabilmente a meno), dimenticando che il servizio rappresenta a tutti gli effetti una vetrina ed un biglietto da visita della propria attività, oggi ancor più della propria forza commerciale, della capacità produttiva o delle caratteristiche e funzionalità avanzate di prodotto.

Con il risultato di deteriorare nel tempo i rapporti con i clienti (per non parlare del continuo avvicendamento del personale addetto) a causa dell’insoddisfacente livello di servizio offerto, danneggiando nel contempo l’immagine globale della propria azienda e prodotto, con conseguente calo degli ordinativi per nuove forniture.

P.S. il tema del rischio reputazionale aziendale (un tipico indicatore è il non riuscire a rimanere a lungo all’interno delle vendor-list dei propri clienti a causa della carenza di risorse chiave per operare e/o per il decadimento qualitatitivo del proprio prodotto e servizio) è stato ripreso in Italia dalla recente normativa sulla crisi d’impresa e sugli adeguati assetti organizzativi che introduce delle apposite check-list, oltre ad interessanti KPI per valutare l’operato organizzativo-esecutivo-gestionale-finanziario di un’azienda (oltre a tutta una serie di utili warning per intercettarne anticipatamente l’eventuale entrata in stato di crisi).

Escalations !! Ovvero l’arte di complicare rapidamente i già complessi processi di service (post-vendita/field service) industriale

Come addetto di lungo corso nel service, desidero promuovere anche una maggior cultura e conoscenza specifica sulle operations di service post-vendita/field nazionale/internazionale in ambito industriale. 

Per questo motivo mi piace ogni tanto andare contro corrente, lontano dal sensazionalismo di molte analisi di mercato e studi accademici che si trovano su internet (fin troppo ottimistiche rispetto alla quotidiana realtà lavorativa) inserendo nei miei case-history, anche esempi di prassi operative di service da evitare, oltre alla descrizione di alcune criticità tipiche del comparto, in particolare nelle medie e grandi aziende dove inizia a diventare elevato il numero di clienti, stakeholders, transazioni ed escalations (un termine elegante e professionale per indicare dagli addetti ai lavori “emergenze e crisi”) da gestire.

In ambito accademico, marketing e direzionale ci sono da tempo bravi professionisti capaci di progettare complessi schemi, flussi e processi funzionali sul come dovrebbe idealmente funzionare una fluida, efficiente, moderna, complessa e scalabile organizzazione di service post-vendita industriale, ma nella realtà dei fatti, ancora oggi, quando si incappa in un escalation e si deve correre per contendersi/accaparrarsi le sempre più limitate risorse necessarie a risolverla (in particolare se l’azienda è ancora fortemente prodotto-centrica), l’esperienza insegna che chi è più in alto nell’organigramma aziendale (o semplicemente urla più forte..) ha le probabilità più elevate di far prevalere all’interno dei vari uffici/reparti le proprie priorità e saltarci fuori rapidamente.

Nell’arco della mia attività lavorativa ho assistito al crescere della pressione sulle organizzazioni service (e post-vendita/field più in generale), innescata principalmente (prima della pandemia) da una progressiva riduzione del tempo (regolamentato contrattualmente) necessario per attivare e far arrivare in emergenza un tecnico e/o ricambio in un impianto/stabilimento/cantiere all’estero. Un fenomeno che per gli addetti ai lavori è sempre stato gestibile (nonostante le crescenti difficoltà logistiche, visto che approvvigionare e spedire rapidamente (24/48/72 ore) uno o più componenti industriali fuori dall’EU non è proprio una passeggiata, in particolare se si lavora “in campo-cantiere” con decine e decine di nazioni diverse ognuna con le proprie procedure “ostative” amministrativo-burocratiche e doganali d’importazione….).

Nel contempo si è rapidamente e parallelamente sviluppata una prassi molto più difficile da controllare, che rischia di minare nel lungo termine l’efficienza ed efficacia di qualsiasi organizzazione internazionale di service post-vendita industriale.

Sto parlando della crescente abitudine di una parte dei clienti finali (per scalare in priorità durante una presunta emergenza) di cercare da subito un canale diretto con commerciale, direzione e proprietà, bypassando di fatto l’intera organizzazione service preposta a supportarli.

Ora se l’organizzazione aziendale globale è solida e coesa, questi tentativi vengono arginati, ma se a livello commerciale o direzionale non si è rapidi e fermi a indirizzare il cliente a seguire i canali dedicati di supporto, gli effetti sono appunto l’innesco di continue e caotiche escalations. Non causate da continui arresti o gravi guasti conclamati della propria base di installato, ma bensì dagli insistenti e reiterati reclami di qualche cliente che (il più delle volte a fronte di semplici allarmi o anomalie tecniche minori) rivendica una maggior priorità per essere subito supportato dal fornitore.

So per esperienza che è sufficiente fare una sola concessione e da lì in poi quel cliente non seguirà più i canali appositi di segnalazione, attivazione e supporto del service (customer care), ma martellerà incessantemente per telefono ed e-mail venditori, direttori e titolari (i quali, con buona probabilità si metteranno a loro volta a esercitare ancora più pressione all’organizzazione post-vendita stessa), fintanto che non verrà spedito il ricambio e/o fatto salire d’urgenza sul primo aereo disponibile anche un tecnico con visto pronto (magari ottenuto per un altro intervento già programmato), mandando in fumo il lavoro di programmazione, schedulazione di molti altri interventi che potrebbero a loro volta venir posticipati in cascata (ogni volta che si richiede un visto, il passaporto viene ritirato da consolato o ambasciata, pertanto in quel periodo il tecnico potrà solo operare in Italia ed EU, e se si lavora principalmente in nazioni extra EU questa è una grave limitazione di risorse con il crescente rischio di aumentare le varianze economiche derivanti dal personale trasfertista che rimane “in attesa in ufficio” su centro di costo interno e non spesato su commessa cliente).

Le escalations (quelle vere, serie e gravi) fanno da sempre parte del business service post-vendita in ambito industriale e nel tempo la loro frequenza è rimasta limitata, ma negli ultimi anni (stando al mio circuito di relazioni professionali) il loro numero sembra invece essere aumentato considerevolmente diventando una delle principali cause del frequente turnover (già normalmente elevato) del personale tecnico (field service engineers) e di gestione clientela impiegato nel comparto.

Le risorse umane hanno da tempo cercato di risolvere il problema inserendo “la capacità di gestire la pressione ed operare durante le escalations” come requisito per ricoprire le nuove posizioni di operations per il service post-vendita, ma senza successo visto che alla lunga un addetto che già si trova quotidianamente esposto (il più delle volte anche fuori dall’orario lavorativo soprattutto se si opera con grandi differenze di fuso orario) alle difficoltà e sollecitazioni prodotte dalle innumerevoli pressanti richieste e problematiche scatenate dai clienti in difficoltà (senza scordarsi dei tecnici trasfertisti in campo che richiedono a loro volta continuo ed immediato supporto in particolare se si persegue il “Duty-of-Care”), difficilmente riuscirà ad avere ulteriore tenuta motivazionale nell’arco degli anni per assorbire sempre più frequentemente anche la crescente pressione che si riceve internamente dalla propria azienda.