Perchè promuovo e supporto l’adozione dell’informatica libera robusta (sistemi Linux & software Open Source) sul territorio

Oggi in quasi tutti gli uffici, infrastrutture ed abitazioni private con la diffusione di software, PC & smartphones sempre più potenti, interoperabili ed innovativi (ma via via sempre più insicuri) abbiamo una capacità di elaborazione e comunicazione inimmaginabile sino a una decina di anni fa. Strumenti che ci hanno purtroppo reso sempre più vulnerabili al furto degli estremi di accesso dei nostri conti correnti bancari e servizi commerciali-governativi, senza dimenticare i frequenti disservizi, la continua esfiltrazione dei nostri dati, informazioni personali-aziendali ed il continuo monitoraggio (condizionamento-sorveglianza) analisi delle nostre abitudini e conversazioni personali-professionali.

Chi ha un minimo di senso critico del dominio tecnologico (o semplicemente è stanco di essere “un libro virtuale aperto” ogni volta che accende il PC o usa lo smartphone) non può più accettare l’uso di tali pericolose e pervasive tecnologie digitali. Per tale motivo in tutto il mondo (ahimè anche da entrambe le sponde del democratico blocco continentale, dove da anni è in corso un progressivo degrado del free-speech, oltre al pericoloso aumento della polarizzazione di stampo ideologico), soprattutto le persone con elevati interessi personali (anche a livello di privacy-sicurezza-incolumità), professionali e finanziari (oltre a chi opera nel giornalismo investigativo, politica e difesa) stanno progressivamente abbandonando le più diffuse (ed insicure) tecnologie commerciali “mainstream” per passare ad altro (senza trascurare quello che da tempo stanno già facendo soprattutto le nazioni considerate “adversary”, per aumentare la loro indipendenza, sovranità e sicurezza nazionale).

P.S. anche il mondo del luxury (in particolare sul territorio elvetico che da sempre vanta una grande attenzione e tradizione sulle tematiche di privacy-confidenzialità) ha recentemente individuato nella capacità di preservare la propria privacy nel dominio digitale un emergente e silenzioso “status-symbol” riconducibile alle persone benestanti, lo dimostra anche tutta una crescente linea di costosi-esclusivi-sostenibili-minimalisti prodotti tecnologici “privacy-preservingtra i quali spiccano anche i “feature-phones & dumb-phones” dall’elevato-raffinato design. Tecnologie che nulla hanno a vedere con il famoso brand di Cupertino, che anche se migliore di Windows/Android non garantisce comunque i necessari standard di sicurezza e confidenzialità di soluzioni PETs (Privacy Enhancing Technologies/Techniques) native (sviluppate “eticamente” con il paradigma privacy-by-design) basate sempre più su sistemi Linux e software libero (Open Source).

** In un mondo in cui l’ambiente digitale domina sempre più le nostre vite, hai bisogno di qualcuno che conosca tecnologie e tecniche per proteggerti dai rischi e dalle minacce digitali

Come ridurre i rischi per il personale viaggiante anche derivanti dall’uso delle tecnologie digitali in contesti esteri complessi (heavily regulated countries, adversary/hostile environments)

**Articolo indirizzato a personale viaggiante commerciale, gestionale e nomadi digitali (difficilmente-parzialmente applicabile ai tecnici trasfertisti che adottano tools complessi-evoluti-avanzati su piattaforma Windows**

In tempi più recenti è aumentato nuovamente il rischio nei viaggi e permanenze in nazioni estere a causa del repentino aumento dei conflitti regionali e del degrado nelle relazioni internazionali tra molti paesi una volta ritenuti sicuri. Per tale motivo oltre a sviluppare una maggior cultura geopolitica (e qui le tecniche e strumenti OSINT possono essere d’aiuto) consiglio sempre alle organizzazioni (che si avvalgono di personale viaggiante, come nel caso del service industriale “field/post-vendita”) di impegnarsi nell’approfondimento della nuova ISO 31030 (travel risk management) oltre che della più generale ISO 31000 (in combinazione con la OSHAS 18001 ed ISO 45001) anche e soprattutto per i lavoratori trasfertisti in solitario.

Inoltre è sempre meno da sottovalutare in contesti complessi (con elevato grado di controllo, sorveglianza del personale straniero, trattamento in passato riservato al solo personale politico-diplomatico, VIP, ONG e del giornalismo investigativo, ma oggi applicato ad un numero molto più elevato di tipologie di viaggiatori business, accademici e turistici) l’uso degli strumenti digitali PC e smartphone (anche personali) da parte di personale viaggiante. Tecnologie digitali che se usate in maniera non consapevole (anche della sola legislazione nazionale dove si risiede temporaneamente per lavoro) possono mettere a rischio la privacy e la conseguente sicurezza (non solo informatica, ma anche personale) dei tecnici, gestori, commerciali in trasferta (per non parlare del rischio esfiltrazione delle informazioni di natura personale, tecnica, commerciale, contrattuale contenute nei dispositivi digitali).

Anche per tale motivo mi sto specializzando in informatica libera (Open Source) e tecnologie digitali aperte, robuste, sostenibili soprattutto per proteggersi dai ransomware, salvaguardare maggiormente la propria privacy e migliorare l’anonimato in rete oltre che dalla pervasività, dipendenza, disinformazione, condizionamento, manipolazione, ingerenza (e relativi rischi psicologici, sociali, sicurezza, frodi) derivante dall’uso delle piattaforme-servizi internet (sia da PC che da telefonia mobile).

Una delle soluzioni più semplici (minimaliste) ed economiche è basata principalmente sul riuso dei vostri PC obsoleti (e se possibile ricondizionamento attraverso l’installazione di SSD, in grado di velocizzare il computer) e formattazione con il sistema operativo Linux (in particolare distribuzione Debian 12 Bookworm e l’installazione di solo software libero Open Source)”. Chiaramente tale soluzione non è attuabile per i laptop utilizzati dal personale trasfertista tecnico (che utilizza avanzati software su Windows).

Con questa tipologia di computer Linux customizzato (che utilizzo come PC sicuro dal 1998 come “sand-box” per le e-mail e per proteggermi dai primi malware) “almeno Intel Core 5 a 64 bit con 4 GB di RAM” (più sicuro e maggiormente preservatore di privacy-anonimato) posso poi formare e addestrare all’utilizzo consapevole del web per favorire una maggior sicurezza informatica, affrontando tematiche cruciali legate alla navigazione online come la violazione della propria privacy, la profilazione, il monitoraggio, condizionamento ed eventualmente la sorveglianza.

A titolo di esempio ricordo (per chi non è un addetto ai lavori di missioni/trasferte internazionali in aree extra EU) alcuni semplici e banali istruzioni:

I laptop, i tablet, i lettori di e-book, gli smartphone e persino i telefoni cellulari standard (dumb-phones/feature-phones) portati all’estero possono essere soggetti con successo a attacchi e compromissioni attraverso malware, strumenti di attacco automatizzati ed IMSI catcher (molti aeroporti sono dotati di tali tecnologie proprio per intercettare le prime telefonate del personale viaggiante non appena scende dall’aereo e chiama casa, il proprio ufficio e/o contatto locale). Ricordate inoltre che il software di sicurezza proprietario, anche quando completamente aggiornato, potrebbe non essere in grado di prevenire tali compromissioni [i telefonini che cifrano le conversazioni vocali telefoniche sono cose da film e comunque vietati ogni dove, anche se ricordo negli anni 90 in determinati aeroporti europei (nelle aree commerciali delle partenze) la vendita di prime tali tecnologie].

I dispositivi elettronici sono altresì suscettibili di manomissione fisica o furto, specialmente se lasciati incustoditi (ad esempio, quarantene hardware per adempiere ai processi interni di industrial cyber security prima di accedere all’impianto/stabilimento – controlli supplementari negli aereoporti – accesso non autorizzato dei dispositivi lasciati in una stanza d’albergo o in una cassaforte, io stesso ricordo già agli inizi anni 90 tali controlli e perquisizioni sia in aeroporto, hotels che si estendevano dagli indumenti in valigia al resto della mia attrezzatura informatica e di misura elettronica). D’altro canto, portare continuamente con sé laptop o altri dispositivi elettronici potrebbe aumentare il rischio di smarrimento o dimenticanza accidentale, o di furto da parte di un ladro o borseggiatore. Si consiglia comunque di tenere i dispositivi digitali con sé il più possibile (oltre al passaporto ed una copia digitale-cartacea dello stesso oltre che del VISA).

I dispositivi trasportati attraverso i confini internazionali possono essere soggetti a una revisione governativa ufficiale e persino a una duplicazione completa (ad esempio, in alcuni paesi, gli ufficiali doganali (o molto più frequentemente i responsabili IT della sicurezza di un’infrastruttura critica) potrebbero temporaneamente mettere in quarantena il dispositivo e conservare potenzialmente una copia dell’intero sistema all’ingresso o all’uscita).

L’uso della crittografia potrebbe essere vietato in alcuni paesi. Ad esempio, mentre certi contesti lavorativi continentali-occidentali per tutelare i propri dati richiedono esplicitamente prassi di crittografia dell’intero disco per proteggere le informazioni personali, professionali su laptop, alcuni paesi non consentono invece l’importazione/esportazione di dispositivi criptati. Anche se alcuni prodotti di crittografia dell’intero disco, consentono di tentare di nascondere limitate partizioni di disco criptate, tali tentativi possono comunque essere rilevati, e mentire in risposta alle domande degli ufficiali di frontiera sulla presenza di partizioni di disco criptate potrebbe costituire un potenziale reato grave.

L’accesso a determinati siti web (evitare rigorosamente tutto ciò che è potenzialmente compromettente…non vado oltre), compresi alcuni popolari siti web di social media occidentali, potrebbe essere tecnicamente bloccato. I siti web sicuri (“https”) e l’uso di reti private virtuali istituzionali (“VPN”) potrebbero essere bloccati in alcuni paesi, poiché risulta più difficile alle autorità nazionali monitorare quel traffico crittografato (senza andare lontano provate su alcuni carrier-network digitali nazionali Svizzeri a lanciare un accesso remoto via SSH, e potrebbero bloccarvi la navigazione se non addirittura il contratto-servizio se insistete). Tentativi di eludere la censura nazionale (ad esempio, con proxy, Tor o tecnologie simili) potrebbero essere bloccati e/o puniti se rilevati. Non installare mai software-app locali! (e se proprio dovete usate un nuovo telefono dedicato e rirpristinatelo da zero una volta ritornati a casa…consiglio se proprio dovete portarvi addietro il numero di telefono personale usate un dumb-phone/feature-phone solo con contatti ICE nella rubrica).

I contenuti digitali personali come foto, riviste digitali, libri sono da limitare (anche in nazioni moderne, democratiche ed avanzate potrebbero essere rilevate delle banali violazioni ad esempio del diritto d’autore) in quanto considerati irrispettosi-oltraggiosi della cultura locale (non lasciate inoltre attivo l’accesso a portali, piattaforme, cloud o comunque rapidamente accessibili con password memorizzata in maniera automatica sul browser).

P.S. anche fare gli attivisti sui social nei confronti di tematiche sensibili per una determinata nazione e poi doversi trovare nella condizione di soggiornarci per lavoro (sempre che vi rilascino il VISA, dal momento che il vostro profilo potrebbe essere stato profilato a priori) non è consigliabile (usate sempre i social con attenzione a maggior ragione se la vostra professione richiede di viaggiare in tutto il mondo).

Una maggior cultura, consapevolezza ed attenzione sui potenziali rischi di viaggio e permanenza del personale tecnico trasfertista

Nei miei precedenti incarichi lavorativi l’argomento della sicurezza del personale tecnico viaggiante mi ha sempre coinvolto quotidianamente in prima persona, dapprima direttamente come trasfertista e successivamente come coordinatore e gestore di attività di site/field service (cantieri, fabbriche, impianti, navi, piattaforme offshore). In più di 25 anni nel comparto ho avuto modo di accumulare tutta una serie di esperienze professionali che mi hanno fatto comprendere quanto le operazioni di preparazione e gestione trasferta necessitino di un continuo miglioramento ed adeguamento globale ai mutevoli contesti internazionali presso i quali si andrà ad operare con il proprio personale. Sono pertanto un forte sostenitore che tali operazioni non debbano essere coordinate, gestite, amministrate, dirette da solo personale Junior o non sufficientemente esperto della materia/mestiere come a volte si legge sulle inserzioni di lavoro più recenti.

Il tema delle attività in trasferta internazionale (in particolare extra EU in nazioni emergenti, contesti disagiati) è da sempre poco noto soprattutto ai non addetti ai lavori (anche la stessa AIRE non dispone di vere e proprie percentuali per rappresentare l’elevato numero di migliaia di “expats” costituito dai trasfertisti “resident/long-stays” del comparto macchinari, fabbriche manifatturiere, impianti industriali, navale, edile, etc.) e ci si accorge dell’esistenza dei nostri numerosi connazionali lavoratori all’estero ahimè solo in presenza di sinistri (operai, tecnici, periti, ingegneri professionisti non solo in grado di montare e mettere in servizio macchinari complessi, ma il più delle volte anche capaci di dirigere “on-site” la costruzione ed avviamento “da zero” di grandi fabbriche ed impianti completi in aree fortemente isolate, disagiate e/o pericolose).

Probabilmente le cause di questa scarsa conoscenza del “mestiere” di tecnico trasfertista oltre che delle relative problematiche, criticità e rischi professionali sono da imputare in parte ad una scarsa cultura aziendale (quasi sempre solo prodotto-centrica oltre che orientata a valorizzare maggiormente le risorse d’ufficio/fabbrica con percorsi di carriera più strutturati/articolati a discapito di quelle impiegate in campo nelle trasferte) sulle operazioni in campo, ma soprattutto ad una legislazione (legge 81) che è sufficientemente chiara e completa nell’ambito degli adempimenti di sicurezza per la propria sede produttiva (al solito, lavoro in fabbrica/ufficio) o nelle attività cantieristiche da titolo IV (es. operazioni lavorative operate da un elevato numero di squadre altamente organizzate e coordinate direttamente in sito sul territorio nazionale), ma che a mio avviso è incompleta (lato comprensione e casistiche contemplate) nelle parti relative a “singoli lavoratori viaggianti” che eseguono attività specialistiche direttamente (in maniera spot o continuativa) presso i clienti industriali in ambito nazionale ed estero (anche se con i recenti interpelli sull’obbligo del preposto per i lavoratori in solitario, la normativa inizia a comprendere meglio le operazioni in trasferta).

Da quando esiste il testo unico, uno degli adempimenti immediati da affrontare lato sicurezza è individuare chi sia per ogni trasferta lavorativa tecnica il dirigente, preposto e lavoratore (su tali nomine e sulla confusione normativa per chi effettivamente ricopre “di fatto” di volta in volta tale ruolo a guida/tutela/sorveglianza dei singoli trasfertisti in missione ci vorrebbe un articolo dedicato, anche se con gli interpelli sopra citati si rafforza invece la necessità di avere uno o più preposti itineranti dedicati a vigilare con ispezioni random in tutti i siti lavorativi).

Incarichi che vanno sempre, subito ed ininterrottamente supportati dai team HR e HSE (oltre che dal resto degli enti aziendali che potrebbero venir coinvolti nelle operazioni di field-service) per facilitare e condividere le ulteriori importanti responsabilità assunte da chi riveste di volta in volta questi ruoli (chi opera nel settore saprà già per certo che quanto sopra descritto è solo il punto di partenza per dar via a tutte le fasi di analisi, preparazione ed esecuzione per individuare/evitare/mitigare i rischi tipici/probabili dell’attività specialistica che si andrà a svolgere all’estero in campo).

Ma c’è poi un altro tema lato legge 81 (chi si occupa di organizzazione, gestione trasferte dovrebbe anche studiarsi tutta una serie di sentenze della cassazione, in modo da ricordarsi di non prendere mai sotto gamba il proprio benestare “frettoloso” allo spostamento-viaggio di un tecnico, anche se dettato da forti pressione del cliente o della propria direzione) che la pandemia ha fatto emergere ed è quello della “trasferta in sicurezza” intesa anche come “viaggio, logistica e permanenza in sicurezza all’estero” che ha messo in evidenza i limiti organizzativi di molte aziende (soprattutto quelle più piccole) che già operavano da tempo in ambito internazionale essenzialmente grazie alla grande esperienza professionale del proprio personale trasfertista senior in grado di muoversi e organizzarsi agevolmente oltre confine con un buon livello di autonomia e conoscenza/attenzione dei rischi professionali specifici della missione.

Infatti chi come lo scrivente ha iniziato da ragazzo negli inizi anni 90 ad andare in trasferta (anche in aree a rischio, isolate, disagiate o con forti/rigide regole sugli usi/costumi locali e restrizioni agli spostamenti) ha imparato da solo autonomamente (a volte seguendo le indicazioni/istruzioni dei colleghi senior o apprendendo dai propri errori e situazioni impreviste) a viaggiare e lavorare in “sicurezza” con un supporto non sempre continuativo dalla casa madre (non esistevano e-mail e telefonini, a volte la linea fissa internazionale era solo alle poste ed i voli per determinate città erano solo settimanali) e soprattutto evitare disagi e rischi in nazioni socialmente, culturalmente ed economicamente molto diverse dall’Europa. 

Dal 2000 in poi l’estremismo religioso, i conflitti/crisi regionali, il terrorismo, i rapimenti e l’aumento della micro criminalità (derivante da situazioni di crescente povertà/disuguaglianza sociale) hanno reso più pericoloso e complicato spostarsi “da soli” per lavoro (senza la necessaria preparazione e supporto in loco) in certe aree del pianeta e solo le grandi aziende più strutturate come gli EPC contractor che operavano già da tempo all’estero in aree a rischio hanno ulteriormente potenziato e strutturato la loro organizzazione per rendere ancora più sicure le trasferte del proprio personale e dei propri fornitori subappaltatori.

Questa evoluzione non è purtroppo avvenuta di pari grado in molte PMI che solo in parte hanno saputo strutturarsi per gestire al meglio le operazioni del proprio personale viaggiante (perlopiù affidandandosi all’organizzazione messa in piedi dai clienti ed agenti locali).

La scossa finale è stata data dal covid-19 che ha obbligato giocoforza anche queste imprese a strutturarsi per farsi carico integralmente dell’organizzazione delle proprie trasferte con un livello di preparazione, attenzione, dettaglio e cura precedentemente impensabili (chi se la sarebbe sentita, legge permettendo… di inviare senza la necessaria completa e precisa organizzazione logistica i propri colleghi in contesti con situazioni sanitarie e tensioni sociali altamente a rischio).

Oggi è sempre più in aumento il numero di PMI che hanno ripreso ad inviare i propri tecnici in trasferta (non in tutte le nazioni ovviamente a causa di diffuse crisi politiche-militari) un risultato (impensabile durante i lockdown) che si è ottenuto potenziando la propria struttura interna, affidandosi anche anche a società specializzate in travel security management che già operavano in contesti esteri complessi (heavily regulated countries, harsh/hazardous areas, hostile environments) oltre a consulenti esterni (ex-trasfertisti) esperti nella gestione organizzativa ed esecutiva delle attività di field-service internazionale.

Purtroppo in tempi più recenti è aumentato nuovamente il rischio nei viaggi e permanenze in nazioni estere a causa del repentino aumento dei conflitti regionali e del degrado nelle relazioni internazionali tra molti paesi una volta ritenuti sicuri. Per tale motivo oltre a sviluppare una maggior cultura geopolitica (e qui le tecniche e strumenti OSINT possono essere d’aiuto) consiglio sempre alle organizzazioni di impegnarsi nell’approfondimento della nuova ISO 31030 (travel risk management) oltre che della più generale ISO 31000 (in combinazione con la OSHAS 18001 ed ISO 45001) anche e soprattutto per i lavoratori trasfertisti in solitario

Inoltre è sempre meno da sottovalutare in contesti complessi (con elevato grado di controllo, sorveglianza del personale straniero) l’uso degli strumenti digitali PC e smartphone (anche personali) da parte dei tecnici trasfertisti. Tecnologie digitali che se usate in maniera non consapevole (anche della sola legislazione nazionale dove si risiede per lavoro) possono creare problemi durante le trasferte (esempio usare VPN, messaggistica crittografata o cifrature dei dati sugli hard-disk è diventato illegale in diverse nazioni).

Sostenibilità Digitale e Autonomia Tecnologica: Un Approccio Frugale e Innovativo per le Infrastrutture Informatiche Collaborative SOHO (Small Office/Home Office) nel Service Industriale

Introduzione

L’evoluzione del settore digitale ha portato a una crescente dipendenza dai grandi vendor hardware e software, limitando le più convenienti opportunità di autonomia tecnologica per le piccole organizzazioni di service industriale che si vogliono dotare di infrastrutture informatiche collaborative semplici e minimaliste (SOHO) dedicate alla raccolta, condivisione e analisi dati per il coordinamento e l’esecuzione di interventi in campo e in cantiere (field service & service post-vendita). Queste infrastrutture ICT (principalmente software CMS, CRM, Help-Desk/Ticket Management), spesso fruibili via web, sono essenziali per la gestione del ciclo di vita degli asset industriali (knowledge/life-cycle/asset management), inclusi storico interventi, guasti, modifiche, selezione ricambi, manualistica, schemi-disegni, configurazioni hardware, versioni software.

Un approccio basato su “product development-management” sostenibile e innovazione frugale avanzata consente di implementare soluzioni tecnologiche indipendenti, accessibili e durevoli, particolarmente rilevanti nel contesto dell’asset management & service di quadristica elettrica di comando-controllo, elettronica di potenza, bordo macchina e architetture digitali OT-Embedded per sistemi “software-intensive” SCADA/IACS/ICS utilizzati in applicazioni industriali basate su azionamenti, motori elettrici (BT) e attuatori. Inoltre, queste soluzioni migliorano l’indipendenza tecnologica e la resilienza operativa, garantendo maggiore sicurezza, stabilità e controllo (privacy & confidenzialità) sugli strumenti digitali utilizzati.

Il Concetto di Innovazione Frugale e Autonomia Tecnologica

L’innovazione frugale si basa sull’ottimizzazione delle risorse disponibili (in particolare in condizioni di cronica congiuntura economica non favorevole) per creare soluzioni efficaci, economiche e sostenibili. In ambito tecnologico, questo significa progettare e realizzare piccole infrastrutture informatiche collaborative (SOHO) che massimizzano l’efficienza con il minimo investimento di risorse finanziarie e materiali. Per le micro-piccole aziende che operano nel service industriale e nella gestione del ciclo di vita degli asset, l’autonomia tecnologica si fonda anche sulla capacità di implementare gestire (almeno in parte) soluzioni software e hardware senza dipendere da produttori di strumenti proprietari. L’uso di software libero (Open Source) e il riutilizzo di hardware obsoleto rappresentano strategie chiave per ridurre la dipendenza da aziende leader di mercato e altri fornitori di costose soluzioni gestionali. Questa indipendenza garantisce maggiore controllo sulle tecnologie adottate, una migliore gestione della sicurezza e una minore esposizione alle politiche commerciali imposte dai grandi vendor.

Riuso e Ricondizionamento dell’Hardware Obsoleto

Il settore tecnologico contribuisce in modo significativo all’inquinamento elettronico. Riusare hardware dismesso riduce la produzione di rifiuti elettronici e l’impatto ambientale della filiera produttiva. Per le piccole infrastrutture SOHO dedicate al service industriale, il processo di riuso dell’hardware include la pulizia e verifica dello stato dei dispositivi, la sostituzione di parti obsolete o difettose, l’installazione di sistemi operativi leggeri ed efficienti come Linux (in particolare Debian), la configurazione di software per la gestione delle attività operative, inclusi strumenti di ticketing, pianificazione degli interventi, gestione della documentazione tecnica (schemi, disegni, manualistica), storico guasti e analisi delle configurazioni hardware/software. Un caso concreto riguarda la trasformazione di PC e dispositivi mobili Windows (Vista, 7, 8, 10) obsoleti in macchine performanti con Linux, prolungandone la vita operativa di almeno cinque anni. Questa pratica si dimostra vantaggiosa per la gestione service interna. Inoltre, tale riconversione aumenta la resilienza operativa, poiché riduce il rischio di vulnerabilità derivanti dalla fine del supporto ufficiale dei sistemi operativi proprietari e garantisce continuità di servizio anche in condizioni critiche (tipicamente quando il resto dell’infastruttura ICT subisce attacchi ransomware).

Vantaggi e Sfide-Difficoltà dell’Approccio Proposto

L’uso di hardware ricondizionato e software Open Source permette alle infrastrutture SOHO del service industriale di ridurre significativamente i costi operativi, migliorare la sostenibilità ambientale e garantire un maggiore controllo sui dati aziendali (nuovamente privacy & confidenzialità). L’indipendenza tecnologica offre libertà di scelta nelle soluzioni adottate, evitando vincoli imposti dai vendor e riducendo il rischio di obsolescenza forzata. La resilienza operativa aumenta la stabilità e la sicurezza grazie alla riduzione della dipendenza da aggiornamenti proprietari. Tra le principali sfide (difficoltà nell’attuazione) si annoverano la resistenza al cambiamento da parte degli utenti, superabile con formazione e sensibilizzazione, e la compatibilità hardware (non sempre garantita), che la comunità Open Source lavora continuamente per migliorare.

Conclusione

L’adozione di un modello basato su innovazione frugale, riuso dell’hardware e software libero rappresenta una strategia sostenibile e accessibile per il futuro delle infrastrutture informatiche SOHO nel service industriale. Inoltre può rivoluzionare il modo in cui le piccole organizzazioni gestiscono la propria infrastruttura IT, rendendola più democratica, indipendente e rispettosa dell’ambiente. Inoltre, il vantaggio derivante dall’indipendenza tecnologica e dalla resilienza di queste soluzioni permette di creare infrastrutture più sicure e flessibili, capaci di adattarsi a contesti mutevoli senza dover subire imposizioni da parte di terzi.

P.S. so bene quindi quanto siano ogni giorno sempre più limitati (soprattutto oggi con le crisi strategiche ai confini con l’Europa ed il caro energia) i budget a disposizione per strutturarsi maggiormente (oltretutto con il fine pressante/immediato di trovare nuovi clienti e commesse per aumentare i profitti/ricavi e solo secondariamente di “innovare….” per migliorare l’efficienza interna della propria organizzazione aziendale).

Servono pertanto, si degli strumenti digitali di comunicazione e collaborazione aziendale (anche da remoto), oltre che di raccolta, condivisione ed analisi di dati ed informazioni per rimanere competitivi (velocizzando, snellendo ed automatizzando parte dei flussi operativi, oltre che le analisi quantitative di business), ma senza però affossare i già esigui budget disponibili.

Inoltre è bene ricordare che, laddove in passato sono stati fatti investimenti per digitalizzare, non c’è poi sempre stata in automatico la volontà da parte dei collaboratori di accogliere i cambiamenti introdotti (principalmente perchè lato informatico l’utilizzatore medio tende a rifiutare il cambiamento degli strumenti di lavoro quotidiano).

“Sistemi Linux vs Ransomware”​ soluzioni a basso costo di Cyber Resilience & Digital Operations Survival Platforms per avere a disposizione (nelle piccole organizzazioni di gestione service industriale) dei computer d’emergenza durante gli attacchi informatici (oltre che durante le disfunzioni delle principali piattforme digitali commerciali sia cloud che on-premises)

** Sempre aperto ad incarichi-interventi per digitalizzare (con un paradigma ecosostenibile basato sull’ingegnosità-innovazione frugale avanzata e riuso-ricondizionamento dei propri computers Windows obsoleti, da convertire in moderne workstations/server Linux) il territorio e/o aree rurali-disagiate (anche estere) in contesti SOHO (Small Office/Home Office) privi dei necessari budget d’acquisto di tecnologie informatiche proprietarie/commerciali per rafforzare resilienza operativa digitale, privacy, confidenzialità durante l’uso dei PC e/o da adottare anche in caso di eventi complessi ed emergenziali (blocco globale catene di fornitura, blackout, calamità), ma soprattutto durante i sempre più diffusi attacchi informatici, disfunzionalità ed indisponibilità dei tradizionali sistemi ICT e servizi in cloud (anche causa cambi delle politiche-licenze commerciali e/o non rispetto del GDPR). **

Non passa giorno senza essere messi a conoscenza dell’ennesima azienda locale vittima di attacchi informatici ransomware creati per autopropagarsi in rete, criptare gli hard-disk e rendere di fatto inutilizzabile tutta l’infrastruttura digitale colpita (almeno sino al pagamento di un cospicuo riscatto in criptovaluta). Solo recentemente un importante e strategica infrastruttura cloud della pubblica amministrazione nazionale è finita fuori servizio per settimane creando innumerevoli problemi a cittadini, imprese (fatturazione elettronica) ed enti statali. Per non parlare di quello che accaduto a livello globale con il crash informatico mondiale del 19 luglio 2024, a causa di un banale e “benevolo” errore d’aggiornamento software di un importante azienda IT.

E’ facile pensare che il fenomeno sia relegato solo ad artigiani, ditte individuali, studi professionali, micro-piccole imprese (tradizionalmente in difficoltà ad investire nell’informatica per la cronica mancanza di sufficienti risorse finanziarie) e quando si scopre che anche le medie e grandi aziende (che invece investono maggiormente nel digitale) ma soprattutto le infrastrutture critiche, enti governativi, difesa (oltre alle aziende stesse di sicurezza informatica) sono a loro volta vittime di tali attacchi, si comprende il perchè molte nazioni (in Europa principalmente Francia, Germania, paesi scandinavi, baltici e recentemente anche Svizzera) stiano spingendo già da tempo le loro organizzazioni governative (e non solo quelle) a passare al sistema operativo Linux.

Anche il governo cinese ha creato (per motivi di crescita ed indipendenza-sovranità tecnologica, anche lato infrastrutture nazionali per l’IA) un’apposita serie di distribuzioni Linux, per un utilizzo mirato all’interno di enti pubblici, militari e strategici (nella federazione Russa è stata ancor prima intrapresa un’azione simile a quella cinese anche se meno pubblicizzata visto che è stata realizzata principalmente per l’ambito difesa). Una transizione tecnologica controcorrente (rispetto alle scelte tecnologiche del passato) che guarda caso riguarda soprattutto i maggiori stati (stando alla stampa internazionale) dietro ai principali attacchi informatici perpetrati nell’area continentale.

Il fatto poi che uno dei più grandi produttori internazionale di computer sito in Pechino abbia già da diversi anni iniziato a promuovere su larga scala la vendita di desktop e portatili Linux per un’utilizzo anche in ambito business nel mercato nazionale ed estero dovrebbe far riflettere su quella che è la strada maestra da percorrere a livello digitalizzazione “più sicura” futura.

Qui in Italia (ma non nel resto d’Europa in particolare in Francia dove il software libero è considerato un pilastro per l’indipendenza-sovranità tecnologica nazionale “Souveraineté économique”) si pensa ancora che le workstations basate su Linux non siano adatte alla maggior parte delle nostre imprese ed enti pubblici (nel mentre numerosi imprenditori visionari d’oltre oceano o asiatici hanno da tempo creato nuovi business milionari anche grazie all’uso sapiente del software libero).

In effetti se in ufficio (noncuranti del fatto che quasi tutto quello che ideiamo-realizziamo-archiviamo sul computer-cloud può essere potenzialmente analizzato con telemetrie proprio dai produttori dei software. . vedi Recall su Windows 11 ) si utilizzano gestionali sviluppati su Windows o programmi specialistici di progettazione e disegno CAD (che è poi la configurazione tipica di tante micro, PMI e grandi aziende nazionali del settore metalmeccanico, edile) l’opzione Linux come sistema operativo aziendale primario diventa difficile se non impossibile da percorrere almeno in ambito desktop (anche se stanno arrivando sul mercato CAD nativi Linux di livello professionale basati su licenze commerciali). Cionondimeno esistono comunque dei cad (al solito più diffusi nel resto d’Europa) elettronici (PCB), elettrici e meccanici “2D/3D” interamente rilasciati sotto licenza libera (KiCad, QElectroTech, FreeCAD, QCAD, FreeCAD) già presenti nelle principali distribuzioni Linux (anche se le traduzioni in italiano dell’interfaccia utente non sono sempre complete e i software non gestiscono i formati proprietari dei disegni/schemi .dwg).

CAD che al momento (nonostante siano ancora carenti lato funzionalità) sono adottati principalmente da moderne ed avanzate società del settore automazione, elettronica, embedded, telecomunicazioni, aerospaziale più avezzi all’utilizzo di tecnologie emergenti.

Per non parlare dell’abitudinarietà (che è poi il grande vero ostacolo a qualsiasi cambiamento tecnologico/piano di innovazione nelle aziende) di molti utilizzatori di PC in difficoltà o semplicemente contrari ad apprendere l’uso di nuovi software (solitamente più semplici, minimalisti e “privi di numerose features superflue” rispetto alle controparti proprietarie-commerciali) e/o accettare cambiamenti dell’interfaccia utente (molti fornitori di tecnologie digitali a volte dimenticano che chi utilizza il computer solo per svolgere il proprio lavoro impiegatizio o manageriale in ufficio e/o in fabbrica, cantiere è quasi sempre molto conservativo e possono volerci mesi per abituarsi al nuovo strumento informatico).

D’altro canto è possibile intraprendere (progetto SMDATA Lab) una “parziale” migrazione a Linux (con le necessarie verifiche preliminari di fattibilità e compatibilità con l’hardware esistente), se l’organizzazione già opera con gestionali accessibili via web/cloud (oggi sempre più diffusi soprattutto nelle piccole realtà aziendali) ed il proprio ambito lavorativo è prevelentemente di coordinamento, oltre che commerciale e gestionale nel service industriale.

Se poi si lavora nella nicchia di mercato legata alle applicazioni scientifiche e di ricerca, oltre che nel settore informatico delle grandi corporations e startup tecnologiche la migrazione diventa ancora più fattibile visto che in questi comparti sono anni che si utilizzano desktop, portatili e server Linux (nel tempo sono addirittura nati oltre agli OEMs cinesi, dei produttori americani e tedeschi-olandesi di computer di fascia alta che installano nativamente il sistema operativo Linux realizzando avanzate workstations, per non parlare del crescente mercato degli smarthphones “degooglizzati” per migliorare la privacy/confidenzialità degli utenti).

Inoltre è sempre più facile imbattersi su internet nel comparto Industria 4.0 di aziende che usano infrastrutture ICT Linux per gestire le attività di progettazione, collaudo e service post-vendita delle complesse architetture informatiche industriali (OT & Embedded) dei sistemi “software-intensive” SCADA/ICS/IACS di supervisione, automazione, controllo (e relativa quadristica elettrica di comando, bordo macchina).

Ora, tornando invece al problema degli attacchi ransomware, a prescindere dalla tipologia di azienda e business, molte piccole organizzazioni possono essere comunque aiutate ad adottare parzialmente (in ambito SOHO Small Office/Home Office) sistemi Linux desktop, portatili e file server (meglio senza l’accesso al sempre più vulnerabile ed inaffidabile protocollo SMB) laddove si decida di dotarsi di una piccola infrastruttura informatica parallela di emergenza “Cyber Resilience & Digital Operations Survival Platforms” (realizzata con il ricondizionamento dei propri vecchi computer Windows obsoleti: XP, Vista, 7) da utilizzare nel caso si sia costretti dopo un attacco informatico a spegnere l’infrastruttura Windows principale.

Una soluzione minimale o meglio di “ingegneria/innovazione open-frugale avanzata” e/o “Maker” (che i grandi operatori della sicurezza informatica, potrebbero definire “di fortuna” o non professionale… anche se a dire il vero sono più di 20 anni che mi cimento ad aprire (anche durante viaggi-trasferte) su desktop Linux (utilizzati inizialmente solo come “Sand-Box”) allegati e-mail di phishing contenenti virus e malware di ogni genere senza incorrere in nessun particolare tipo di problema), ma che permette (in attesa che si ripristini l’infrastruttura informatica principale) di tenere in piedi almeno l’accesso al web, alla posta elettronica esterna, a fogli di calcolo e documenti privi di macro (chiaramente se presenti su un file server Linux di backup) e di poter continuare ad interagire parzialmente con i propri clienti, fornitori, oltre a un un numero limitato di colleghi/collaboratori (per dovere di cronaca ci sono numerose aziende che sono rimaste ferme e/o chiuse per settimane a causa dei ransomware).

Questo è possibile perchè il sistema operativo Linux è ad oggi poco diffuso negli uffici in modalità “on-premises” (soprattutto lato desktop, notebook, workstation) ma anche perchè intrinsicamente più “robusto”, “minimalista” ed “essenziale” (esistono studi sul legame tra complessità, sicurezza ed affidabilità di un sistema digitale) oltre che maggiormente rigoroso/rigido di Windows lato privilegi necessari all’installazione-esecuzione programmi e alla condivisione-trasferimento files. Il che lo rende oggi più immune dalle minacce informatiche più diffuse in particolare per i PC desktop (tipicamente software malevoli nascosti in e-mail, pagine web, PDF, immagini e documenti Office).

Un discorso diverso vale invece per i server Linux utilizzati in ambito web o cloud (a parte i costi sempre più importanti causati dall’attuale caro prezzi) che invece (complice l’ormai sempre più costosa, esasperata ed ingestibile complessità delle architetture cloud virtuali/containers implementate nei data centers) essendo altamente diffusi (e mal integrati-amministrati), sono da tempo vittima alla stregua dei sistemi Windows di tutta una serie di attacchi e vulnerabilità (affidarsi oggi alle sole infrastrutture cloud senza un backup fisico on-premises è sempre più rischioso). Per tale motivo sono in aumento le aziende (anche grandi gruppi high-tech che tengono ben custodito il loro know-how su macchine fisiche decentrate “on-premises” nelle loro sedi o data centers di prossimità fisicamente accessibili, stando ben lontani dal sempre più poroso e costoso cloud).

Esistono naturalmente numerose ed ottime soluzioni commerciali (quasi sempre estere) per la sicurezza-resilienza informatica, ma purtroppo la maggior parte non sono ad oggi alla portata di molte delle micro-piccole realtà aziendali, professionali ed artigiane con limitato potere di spesa, che sono invece quelle che il progetto SMDATA Lab intende servire.

Sistemi Linux e Software Libero per digitalizzare ed internazionalizzare le micro imprese locali: criticita’ e vantaggi percepiti dall’imprenditore

** l’attuale congiuntura economica (come certificato dall’ISTAT che conclama proprio in questi giorni la “stagnazione” del PIL italiano) richiede che anche le micro imprese volgano il loro sguardo al mercato estero direttamente, senza passare per le antiprofittevoli catene di appalto nazionali, che erodono a dismisura i margini di chi opera nella parte bassa delle reti di forniture) **

Da quando ho ripreso a promuovere sul territorio (principalmente presso artigiani, ditte individuali, micro imprese del comparto beni strumentali e manifatturiero) l’adozione di sistemi Linux, software open-source (anche con interfaccia utente in lingua inglese per facilitare l’internazionalizzazione dei micro uffici-reparti) per rafforzare le capacità di condivisione ed analisi dati all’interno delle piccole organizzazioni addette allo sviluppo commerciale, gestione progetti-servizi su commessa in campo-cantiere (field service) e service post-vendita industriale internazionale, ho dovuto rapidamente imparare a far fronte a tutta una serie di reazioni all’eventuale utilizzo da parte della maggioranza dei titolari d’azienda contattati.

Curiosità ed interesse iniziale, perchè l’imprenditore (ricordiamoci sempre che l’innovazione digitale è l’ultima delle preoccupazioni di chi manda avanti con grandi difficoltà una ditta individuale o micro impresa familiare in questo complesso periodo) intuisce di poter finalmente riammodernare e soprattutto internazionalizzare una parte della propria infrastruttura informatica con una spesa limitata, grazie all’assenza dei costi per le licenze software (riutilizzando ecosostenibilmente e convenientemente, laddove possibile, parte del proprio vecchio hardware ora obsoleto, in disuso).

Perplessità quando viene affrontato il tema del supporto tecnico che in molti casi viene demandato ad una non ben identificata comunità di utilizzatori e rete di micro aziende e professionisti informatici senza che vi sia una formale relazione commerciale con chi ha scritto il software libero (Open Source) originale.

Per non parlare poi dell’entropia normativa introdotta dai recenti regolamenti comunitari (redatti per multinazionali, ma applicate anche alle semplici partite IVA) in ambito digitalizzazione (anche lato software libero) delle nazioni membre EU.

Dubbi sulla qualità ed affidabilità di queste tecnologie, non appena si comprende che la licenza libera e gratuita sottindende anchenessuna garanzia sulla funzionalità del software stesso e nessun tipo di obbligo/impegno nei confronti dell’utilizzatore” (anche da parte dello specialista assunto a contratto che supporta/addestra “per il periodo necessario” il cliente nell’adozione delle stesse).

Reazioni iniziali che aprono poi lo strada ad una serie di obiezioni ancora più sostanziali e per le quali è necessario molto lavoro per arrivare a gestirle. Anche se il più delle volte mi è sufficiente far presente che dal 2003 con l’adozione di software libero ho fatto risparmiare per altre attività di famiglia (e non solo..), decine e decine di migliaia di euro, che altrimenti avrei fatto spendere per soluzioni proprietarie (oltre ad aumentare la loro capacità di lavorare agevolmente per/all’estero per grandi OEMs, EPC end-user nazionali, internazionali).

Ciononostante, molti degli imprenditori con i quali ho avuto modo di rapportarmi ritengono in prima battuta (e concordo con loro) che il proprio personale non avrebbe ne il tempo, ne la motivazione e in alcuni casi la capacità di imparare (oltre alle barriere linguistiche) ad usare nuovi strumenti digitali (in particolare se l’interfaccia di lavoro è in inglese e si discosta molto dalle tradizionali tecnologie commerciali mainstream).

Ma principalmente obbiettano del fatto che questi software nella loro modalità libera vengano rilasciati nativamente: liberamente scaricabili da internet (da chiunque) e pronti all’uso, senza nessun tipo di supporto ufficiale/formale (al di fuori di chat, sistemi documentali wiki e forum web), garanzia, certificazione e responsabilità sulla loro corretta funzionalità.

Il che potrebbe portare nel caso di un’ imprevista errata gestione o perdita dei dati ad un rallentamento o blocco delle attività lavorative dell’azienda, senza poi sapere chiaramente a chi rivolgersi per risolvere il problema (ricordiamoci però che il tema del “a chi mi rivolgo se il sistema smette di funzionare ?” è da sempre ricorrente nel mondo dell’informatica proprietaria e commerciale, ma con le licenze libere e gratuite il fenomeno si è in effetti accentuato).

Recentemente però, grazie ad un cambio delle clausole nelle licenze è diventato anche possibile, pur rimanendo nell’ambito dei software liberi, optare per un mix tra licenze gratuite e commerciali, con funzioni a pagamento più avanzate, supporto remoto incluso e fruizione tramite servizi cloud (SaaS) con sottoscrizione a pagamento. Ma con questa modalità (che tutela e supporta maggiormente l’utilizzatore) si ricade comunque negli stessi problemi per l’adozione di software proprietario, ovvero che non ci sarebbero i budget sufficienti a disposizione (in particolare con la congiuntura economica attualmente in corso) per l’investimento da parte di artigiani, ditte individuali, micro-piccole imprese (oltre al timore “fondato” di perdere il controllo dei propri dati commerciali non appena li riversiamo sui server esterni di un ente terzo).

Fermo restando che l’uso di sistemi Linux e software liberorimane sempre una scelta ed una responsabilità solo dell’imprenditore che li adotta“, deve essere chiaro che per il professionista assunto/dedicato a supportare l’adozione di queste tecnologie, non è comunque possibile supplire a carenze tecniche di prodotto o garantire e certificare funzionalità per software sviluppati da terzi (e soprattutto farsi carico della responsabilità di migrazioni, personalizzazioni, oltre che del buon esito del trattamento, backup e ripristino dei dati). Non ha nemmeno senso compararli come funzionalità ai più blasonati prodotti commerciali (soprattutto i software liberi di produttività e relativi gestionali sono lato funzionalità ancora molto indietro rispetto alle tecnologie proprietarie).

Cionostante (in particolar modo fuori dall’Italia dove l’inglese è parlato diffusamente) il numero di adozioni di sistemi Linux e software libero nelle micro e piccole imprese sta diventando comunque di giorno in giorno sempre più elevato e frequente (anche perchè indubbiamente più economico oltre che incentivato/sponsorizzato come tecnologia strategica dai principali stati europei), in particolare laddove:

a) è già presente in azienda un gestionale ERP accessibile via web/cloud

b) è possibile riutilizzare buona parte dei vecchi computer aziendali ora in disuso (almeno Intel Core 2 Duo a 64 bit con 4 GB di RAM da potenziare/velocizzare eventualmente con hard-disk a stato solido)

c) l’utilizzo di software con interfaccia grafica (GUI) diversa da Windows (e con interfaccia spesso in sola lingua inglese) non rappresenta un problema e sono sufficienti strumenti informatici minimali ed essenziali (privi di features superflue) senza il ricorso a costose e continue personalizzazioni

d) l’impresa continua a subire gravi interruzioni della propria attività per le perdite/furto di dati derivanti dai virus che criptano gli hard disk nei computer (cryptolocker e ransomware)

e) si hanno risorse finanziarie limitate per acquistare tecnologie e soluzioni informatiche proprietarie e commerciali

f) non è possibile per le limitazioni di budget (e/o perchè si vuole mantenere il controllo dei propri dati all’interno della propria sede lavorativa) utilizzare le più recenti tecnologie e soluzioni informatiche (il più delle volte basate sempre su software libero rilasciato però in modalità commerciale “Freemium”), erogate su piattaforme a pagamento cloud (Saas) e fatturate secondo il modello della sottoscrizione per numero di mesi, utenti e quantità di dati generati/archiviabili. (P.S. personalmente non ho ancora provato a sottoscrivere contratti con piattaforme cloud commerciali a consumo in quanto non mi è possibile capire a priori “con certezza” soprattutto con l’attuale caro prezzi quanto si andrà a spendere lato traffico-capienza dati, transazioni eseguibili, servizi attivati, etc. Inoltre molti grandi providers chiedono anche per testare la versione valutazione/prova del servizio di inserire preventivamente la carta di credito)

g) si hanno già le risorse tecniche interne (è il tipico caso delle startup) per supportare integralmente ed autonomamente queste tecnologie

h) l’imprenditore ha compreso che tali tecnologie libere potrebbero diventare già nel breve termine strategiche, aiutandolo a differenziarsi dai suoi concorrenti ammodernando, digitalizzando, internazionalizzando e sviluppando “con costi ridotti” l’organizzazione della propria azienda con gli stessi strumenti informatici (anche se minimali, essenziali) già in uso presso realtà più strutturate. Arrivando così a potersi presentare ai clienti potendo dimostrare non solo prezzi convenienti, capacità, competenze e qualità del proprio servizio/prodotto (come già fanno tutti), ma anche e soprattutto l’elevato livello di digitalizzazione introdotto per gestire parte dei propri processi aziendali in maniera moderna, collaborativa, organizzata, analitica e se necessario anche da remoto

Affinchè questi progetti di trasferimento tecnologico si tramutino sistematicamente in un successo, è di fondamentale importanza fare in modo che il processo di introduzione ed adozione per queste nuove tecnologie, “sia fortemente voluto dalla proprietà e accettato dal personale” e che avvenga in maniera graduale, sempre con un approccio sperimentale e prudenziale, solo per un numero limitato di collaboratori ed attività aziendali, limitando chiaramente al minimo anche il numero degli interventi del professionista a contratto per formazione e supporto (l’unico costo inizialmente in gioco, laddove non ci sia anche da acquistare o ricondizionare computer usati). Per esperienze pregresse sappiamo che se iniziano a levarsi malumori in azienda da parte degli utilizzatori con frasi del tipo. “non parlo inglese, sono qui per lavorare e non fare data entry o analisi lavorative/numeriche” è meglio lasciar perdere qualsiasi iniziativa di digitalizzazione ed internazionalizzazione che può essere solo ulteriormente deleteria per il proprio business (il mondo del digitale e del business estero non è purtroppo per tutti, come invece si cerca forzosamente di propinare da anni, e bisogna saperne prendere atto).

L’impresa avrà così modo gradualmente di valutare la qualità, affidabilità e utilità di questi moderni strumenti per la produttività, condivisione ed analisi dati aziendale, imparando nel contempo a gestire autonomamente le operazioni di backup e ripristino dei dati.

Solo dopo aver preso confidenza con le nuove tecnologie introdotte si potrà valutare con la proprietà un allargamento dell’adozione anche ad altri collaboratori e in caso di un utilizzo strategico ed intensivo, iniziare a richiedere preventivi per un supporto tecnico più avanzato e personalizzato coinvolgendo società di servizi IT più strutturate (diverse grandi aziende dell’informatica commerciale-proprietaria “per non farsi tagliare fuori dal mercato” hanno recentemente aperto divisioni interne per supportare i sistemi Linux presso multinazionali, istituti di credito, enti pubblici e governativi, anche se ad oggi le loro tariffe sono il più delle volte al di fuori della portata delle micro imprese con budget limitati) oltre eventualmente agli sviluppatori originali dei software liberi che offrono personalizzazioni e infrastrutture su cloud SaaS a pagamento.

I costi di gestione sicuramente lieviteranno rispetto al periodo iniziale (anche se resteranno ampiamente inferiori rispetto a quelli che sarebbero stati sostenuti per tecnologie proprietarie o commerciali), ma almeno l’imprenditore avrà già avuto modo di riscontrare un miglioramento organizzativo e di promuoverlo strategicamente anche presso nuovi clienti più grandi, sensibili all’elevato livello di organizzazione, intenazionalizzazione e digitalizzazione dei propri fornitori (da ex gestore di numerosi ed importanti subappalti nazionali/internazionali di field service industriale ricordo quanto fosse difficile per i micro/piccoli subappaltatori coinvolti nei lavori, farsi carico “come da contratto d’opera/subappalto/subfornitura” anche degli adempimenti gestionali in lingua inglese “contract, project & service, HSE management” del loro scopo di fornitura).


** ** I miei interventi sono concepiti per aiutare
a digitalizzare (con un paradigma ecosostenibile basato sull’ingegnosità-innovazione frugale avanzata e riuso-ricondizionamento dei propri computers Windows obsoleti, da convertire in moderne workstations/server Linux) il territorio e/o aree rurali-disagiate (anche estere) in contesti SOHO (Small Office/Home Office) privi dei necessari budget d’acquisto di tecnologie informatiche proprietarie/commerciali per rafforzare resilienza operativa digitale, privacy, confidenzialità durante l’uso dei PC e/o da adottare anche in caso di eventi complessi ed emergenziali (blocco globale catene di fornitura, blackout, calamità), ma soprattutto durante i sempre più diffusi attacchi informatici, disfunzionalità ed indisponibilità dei tradizionali sistemi ICT e servizi in cloud (anche causa cambi delle politiche-licenze commerciali e/o non rispetto del GDPR). **

Sensing, Monitoring & Data Acquisition | Connectivity & OT-Embedded

Promuovo un ulteriore (mio) progetto (per l’economia di prossimità/innovazione tecnologica del territorio) specifico per Industria 4.0/Manutenzione 4.0, monitoraggio ambientale e domotica wireless (attualmente in fase R&D, ricerca specifiche nuove partnerships tecniche, commerciali), rivolto allo sviluppo di una piccola (collaborativa-smart-work ready) organizzazione in outsourcing di project & service management (field/after-sales), specializzata nella gestione (commerciale, contrattuale, tecnico-economica, organizzativa, logistica, esecutiva, HSE, dispute-controversie-contenziosi) di semplici-robusti progetti OT minimalisti (prototipi/P.O.C. lato tecnologie Industria 4.0/Manutenzione 4.0, Domotica, IoT e sistemi embedded) per il rilevamento, monitoraggio, data logging e connettività più in generale (focus su monitoraggio, diagnostica, manutenzione predittiva).

Progetti OT realizzabili mediante l’uso cost-effective di sistemi Linux e software libero implementati su PC standard (anche obsoleti), low-cost PLC/schede elettroniche embedded (Arduino) e single board computers Raspberry Pi.

L’infrastruttura informatica “on-premises & privacy-preserving” di gestione progetti e servizi tecnici su commessa è prototipale oltre che realizzata con sistemi Linux, software libero ed il “riuso” di computer obsoleti.

La soluzione ICT si inserisce come estensione alle altre mie infrastrutture informatiche prototipali (SOHO per micro-piccole imprese) collaborative (basate su CMS, CRM & Ticket Management software) dedicate alla raccolta, condivisione, analisi dati per l’attività di coordinamento-esecuzione interventi in campo-cantiere (field service & service post-vendita) e gestione del ciclo di vita (knowledge/life-cycle/asset management) della base d’installato (storico interventi, guasti, modifiche, selezione ricambi, manualistica, schemi-disegni, configurazioni-personalizzazioni hardware, versioni software) specificamente lato beni strumentali industriali “software-intensive”, applicazioni d’automazione industriale (discreta) e tecnologie Industria 4.0.

Quali sono le difficoltà supplementari nell’eseguire le messe in servizio e fare service, manutenzione su macchinari dotati di sistemi “software-intensive” rispetto a quelli principalmente elettromeccanici ?

Per chi opera nel service post-vendita industriale con le tradizionali competenze in meccanica, elettrotecnica, elettromeccanica, meccatronica è ben consapevole che ci sono ulteriori e molteplici difficoltà nell’eseguire messe in servizio (commissioning-startup), attività di service in remoto-campo e manutenzioni su beni strumentali industriali (componenti, attrezzature, sistemi, equipaggiamenti, macchinari, skids-packages d’impianto) dotati di un crescente numero di elementi “software-intensive”.

Ecco alcune delle principali identificate negli anni:

I sistemi software-intensive sono (ovviamente) intrinsicamente più complessi rispetto ai sistemi elettromeccanici (si tende a parlare di “systems of systems” solo nel comparto difesa, aerospazio, ma ne beneficierebbe ampiamente anche il comparto dei beni strumentali industriali). Questo implica che i tecnici di field service (i lavoratori trasfertisti che operano in campo e cantiere sulla base d’installato degli OEMs ed end-user) devono possedere competenze digitali specifiche (oltre a quelle meccaniche-elettriche-elettromeccaniche-meccatroniche) per comprendere anche il funzionamento del software, diagnosticare i problemi e apportare modifiche (attività prevalente nelle personalizzazioni integrazioni in campo durante le messe in servizio) o aggiornamenti. Ciò richiede una conoscenza della programmazione e dei linguaggi di sviluppo utilizzati (in particolare per modificare codice scritto da altri, il che complica ulteriormente il processo).

Competenze rare visto che buona parte del personale di field detiene skills di programmazione PLC in solo linguaggio ladder e quasi mai abilità con linguaggi ad alto livello o ad oggetti (mentre gli sviluppatori interni d’ufficio tecnico che hanno le competenze non sempre sono disponibili o hanno conseguito le necessarie idoneità professionali per recarsi “in sicurezza” sul campo, cantiere, offshore magari in zone disagiate o a rischio).

L’integrazione tra il software e l’hardware interno alla quadristica di comando-controllo del proprio equipaggiamento-macchinario può essere a volte problematica soprattutto nei progetti ad alta customizzazione (tipici per gli OEMs costruttori di macchine-linee automatiche manifatturiere), One-of-a-Kind, Engineer-to-Order (oltre all’integrazione con gli altri sistemi software-intensive del cliente o di altri fornitori OEMs, che non può essere quasi mai integralmente testata nei collaudi in fabbrica FAT).

Quando si effettua la manutenzione o si sostituiscono i componenti è pertanto necessario assicurarsi che siano compatibili con il software esistente, verificando prima di inviare un eventuale ricambio in sito che sia già stato caricato il firmware/software/file di configurazione corretto. Questo può richiedere l’accesso a specifiche versioni del software o a componenti particolari, il che può complicare il processo di manutenzione (il problema delle revisioni codice, schemi elettrici non tracciate può scoperchiare veri e propri vasi di pandora in molte organizzazioni abituate tradizionalmente a gestire ricambistica essenzialmente elettrica/meccanica).

I sistemi software-intensive sono soggetti a bug e vulnerabilità (oltre a cicliche ri-scalature digitali per il degrado nel tempo di sensoristica-strumentazione analogica) che potrebbero influire sul funzionamento del macchinario. Un bug nel software non individuato durante il commissioning potrebbe causare “sporadicamente” malfunzionamenti o errori nel funzionamento del macchinario stesso (se non addirittura guasti anche gravi o pericolosi sulla componentistica meccanica e di potenza).

Allo stesso modo, le vulnerabilità nella sicurezza del software potrebbero consentire l’accesso non autorizzato o il controllo remoto del macchinario da parte di terze parti. Pertanto, è necessario effettuare aggiornamenti regolari del software e implementare misure di sicurezza per proteggere il sistema (attività tradizionalmente evitate dai manutentori per paura di innescare fermi macchina non rapidamente/autonomamente ripristinabili).

Anche se purtroppo capita di rado, i tecnici che supportano il post-vendita di macchinari software-intensive devono essere adeguatamente e continuamente formati per comprendere il funzionamento dei vari sistemi e risolvere eventuali problemi. Ciò richiede tempo e risorse dell’ingegneria per fornire la formazione necessaria, che può essere più complessa rispetto alla formazione richiesta per i sistemi elettromeccanici tradizionali (quando un tecnico non opera su commessa viene spesato su centro di costo interno, e questo erode i margini di business unit, fenomeno che non sempre piace alle direzioni con un forte orientamento alla sola performance finanziaria).

Inoltre, a causa della rapida evoluzione della tecnologia, è necessario mantenere costantemente aggiornate le competenze del personale anche e soprattutto lato utilizzo strumenti di configurazione digitale, sviluppo software. Tools digitali che possono anche essere decine e decine (in passato gli OEMs si appoggiavano ad un solo principale fornitore per l’automazione-controllo-supervisione con un limitato numero di ambienti di sviluppo-configurazione, mentre oggi i fornitori possono essere molto più numerosi).

Aggiungiamo un elemento da non trascurare anche per l’end-user ed il suo team di manutenzione interno. Per eseguire la manutenzione del sistema software-intensive del fornitore, potrebbe essere necessario accedere al codice sorgente o alla documentazione specifica dell’architettura di sistema (questo è fonte di numerose dispute contrattuali post-vendita). Tuttavia, alcuni OEMs e/o produttori di applicativi software potrebbero limitare l’accesso a queste risorse per motivi di proprietà intellettuale o di sicurezza. Questo può rendere più difficile per i tecnici del cliente finale eseguire determinate attività di manutenzione o risolvere problemi complessi (diventando così sempre più dipendente dal post-vendita del fornitore).

Industria 4.0 e dipendenza dalla connettività: Nei macchinari software intensive, la connettività di rete può essere un ulteriore fattore critico per il loro funzionamento. La mancanza di connessione o problemi di rete (o quelli più insidiosi di “run-time macchina” derivante dalla latenza nell’interscambio-transcodifica dati) possono influire sulle capacità del macchinario o rendere difficile la diagnostica locale, remota e la risoluzione dei problemi. Ciò significa che il personale di field deve essere in grado di affrontare anche problemi di connettività e reti informatiche. E qui si entra nel mondo dell’OT (Operational Technology) dove la complessità delle configurazioni lato networking/modello OSI possono crescere a tal punto da mettere in difficoltà anche un tradizionale esperto di networking IT (senza dimenticare i sempre più numerosi rischi introdotti lato sicurezza informatica “industrial-cybersecurity”, derivanti da settaggi-configurazioni effettuate da personale non sufficientemente esperto in ICT).

Anche le schede elettroniche (non solo la componentistica di potenza… vedi misure di corrente, tensione, termiche, etc) vanno manutenute, a maggior ragione con la crescente difficoltà negli approvvigionamenti dei micro chips. Servono pertanto appositi piani di manutenzione e test della micro componentistica discreta analogica (esistono validi testi sull’affidabilità, manutenzione, riparazione della componentistica elettronica e numerosi articoli tecnici), che vadano oltre alla pulitura-soffiatura con aria compressa delle schede o delle misure sui condensatori di potenza, ma che tengano anche conto (oltre al normale degrado dei componenti) degli ambienti a volte aggressivi lato atmosfera chimica. In tali situazioni (marine-offshore, raffinerie, cementerie-ceramiche, etc.) si può dannegiare irrimediabilemente l’elettronica o peggio innescare sul macchinario comportamenti imprevisti e di difficile diagnostica-individuazione (che il più delle volte non lasciano altra alternativa che sostituire ciecamente rack interi di controllo senza aver individuato le precise cause del guasto, causa urgenza/fretta di ripartire con la produzione).

In sintesi, le principali e supplementari difficoltà nella messa in servizio, service e manutenzione dei macchinari dotati di sistemi altamente software-intensive risiedono nella complessità del software, nei problemi di compatibilità, integrazione, nei rischi di bug e vulnerabilità, nella formazione del personale, nell’accesso al codice sorgente, alla documentazione, e nella dipendenza dalla connettività di rete (oltre che dall’affidabilità delle schede elettroniche/embedded).

Affrontare queste sfide richiede nuove competenze specialistiche (non solo lato team ingegneria, ma anche per i ruoli di project & service managers, commissioning professionals/managers e tecnici di field service), accesso alle risorse appropriate e un’adeguata-continua formazione del personale, ma anche un cambio di paradigma nelle fasi di collaudo interno, ispezione ed accettazione in fabbrica (FAT) che coinvolga più un approccio a V-model (ben noto a chi adotta pratiche di systems engineering) volto all’analisi-funzionalità del software e non solo della qualità delle misure elettriche, prestazioni meccaniche. Per non parlare della serviceability dei componenti, sistemi, equipaggiamenti, macchinari (ma questo è tema di un altro articolo).

P.S. chi è un tecnico d’automazione trasfertista dotato di una buona formazione-competenza anche lato ICT/OT può essere un prezioso aiuto in campo per aiutare le aziende (anche se stranamente il mercato nazionale dei macchinari industriali continua a preferire, lato assunzioni, i tecnici d’automazione di field service più con skills lato montaggi meccanici e cablaggi elettrici…) ad affrontare tali sfide in particolare lato operazioni di service management (field/post-vendita) per avanzati e complessi beni strumentali industriali “software-intensive”, applicazioni (greenfield/brownfield) d’automazione industriale (discreta-meccatronica-elettronica-conversione di potenza) basate sull’uso di azionamenti-motori elettrici, attuatori ed emergenti tecnologie Industria 4.0.

Vantaggi della serviceability per beni strumentali industriali “software-intensive”, applicazioni d’automazione industriale, Industria 4.0

L’Industria 4.0 è un settore in costante evoluzione, spinto dall’adozione sempre più diffusa di beni strumentali/sistemi “software-intensive”. Questi macchinari, equipaggiamenti, sistemi altamente digitalizzati giocano un ruolo cruciale nel migliorare l’efficienza, la precisione e la flessibilità delle operazioni industriali. Tuttavia, è fondamentale garantire che tali tecnologie siano altamente “serviceable”, ovvero facilmente manutenibili e gestibili nel corso del loro ciclo di vita sia dal personale di field service interno che dai manutentori dell’end-user. In questo articolo, esaminerò sinteticamente i vantaggi della serviceability per i beni strumentali/sistemi d’automazione industriale software-intensive e come essa possa contribuire a ottimizzare le operazioni industriali.

Da anni gli OEMs hanno industrializzato e modularizzato (per esigenze produttive e di competitività) i sottoassiemi dei loro prodotti soprattutto lato meccanico ed elettrico, ma chi ha lavorato principalmente lato sistemi (hardware elettronico, embedded, COTS, OT) non sempre ha potuto operare con facilità ed agio in particolare nella ricerca dei malfunzionamenti e guasti. Anzi le attività si sono complicate di anno in anno con il proliferare di numerose nuove tecnologie digitali di un numero crescente di produttori diversi, che hanno ulteriormente frammentato, appesantito e complicato (oltre che reso meno robuste ed affidabili) le architetture di supervisione, automazione e controllo creando cascate di “sistemi di sistemi” sempre più nidificati ed interconnessi tra loro a volte anche in modalità “Spaghetti” (in passato negli inizi anni 90 un tecnico service partiva in missione con un laptop contenente un paio di tools di configurazioni ed un’unica IDE di programmazione PLC, oggi parte con decine e decine di strumenti software, molti in release multiple per poter operare con “backward compatibility” su dispositivi solo di qualche anno più vecchi e magari già in phase-out).

Perchè serve introdurre la serviceability anche lato sistemi software-intensive ?

Riduzione dei tempi di fermo

Una delle principali sfide nell’ambito dell’automazione industriale è minimizzare i tempi di fermo delle apparecchiature e dei processi. La serviceability è essenziale per affrontare questa sfida, consentendo la rapida identificazione e risoluzione di guasti o malfunzionamenti nei sistemi software-intensive. La capacità di diagnosticare e risolvere problemi in tempo reale riduce drasticamente i costi legati ai tempi di inattività non pianificati, migliorando l’efficienza complessiva dell’impianto.

Agilità nella ricerca guasti, aggiornamento e nell’espansione

L’ambiente industriale è in costante evoluzione. La serviceability è fondamentale per consentire agli impianti di rimanere allineati con i cambiamenti tecnologici (senza però ciclicamente mandare i dispositivi in phase-out solo dopo pochi anni da la loro introduzione sul mercato) e le nuove esigenze del settore. I sistemi software-intensive serviceable possono essere facilmente aggiornati o espansi per incorporare nuove funzionalità o adottare nuove tecnologie. Ma soprattutto devono aiutare nell’individuazione di un eventuale malfunzionamento o guasto senza obbligare il tecnico di field a sostituire “ciecamente”, come spesso capita, interi rack elettronici a causa dell’impossibilità di discrimanare quale singola scheda (sottosistema) stia generando il problema (con conseguenti pasticci anche gestionali lato documenti di trasporto e giacenze-contabilizzazioni magazzino interno per la caotica e spesso urgente-non formale consegna [DDT manuali] dei nuovi ricambi e reso [causali errate e mancanza di firme-timbro cliente nei DDT] delle parti sostituite).

Questa agilità è essenziale per rimanere competitivi e adeguati alle nuove sfide.

Maggiore efficienza operativa

Un sistema d’automazione industriale software-intensive che è serviceable è in grado di garantire un funzionamento più efficiente. La capacità di monitorare costantemente lo stato del sistema e di apportare modifiche o correzioni in tempo reale (senza fermare le linee di produzione anche per gli interventi diagnostici più banali) consente di massimizzare la produzione e ridurre i costi operativi. Inoltre, la serviceability permette di identificare e ridurre gli sprechi, migliorando la sostenibilità delle operazioni industriali.

Maggiore sicurezza

La sicurezza è una priorità fondamentale nell’ambito dell’automazione industriale. I sistemi serviceable offrono una maggiore visibilità sulle vulnerabilità e consentono di applicare rapidamente correzioni e patch di sicurezza. In questo modo, si riducono i rischi di violazioni dei dati o di incidenti industriali dovuti a malfunzionamenti dei sistemi.

Riduzione dei costi operativi

Una serviceability ben progettata può portare a una riduzione significativa dei costi operativi. La capacità di risolvere i problemi in modo tempestivo, ridurre i tempi di fermo non pianificati e ottimizzare i processi riduce i costi di manodopera e aumenta la produttività complessiva. Inoltre, la manutenzione preventiva riduce i costi legati alla sostituzione di componenti danneggiati.

Ma non basta operare solo lato architteture di sistema serve anche coinvolgere, preparare, formare, aggiornare i tecnici di field service.

I tecnici di field service svolgono un ruolo chiave nell’assicurare la serviceability dei sistemi d’automazione industriale software-intensive. La loro esperienza sul campo offre una prospettiva preziosa su come questi sistemi possono essere resi più manutenibili e migliorati nel corso del tempo. Ecco alcune considerazioni importanti dal loro punto di vista:

Formazione e Supporto Adeguato: I tecnici di field service richiedono una formazione completa e l’accesso a risorse di supporto affidabili (oltre che del continuo aiuto dei loro project & service manager, che devono avere il tempo di seguire anche le problematiche tecniche-esecutive degli interventi in campo e non solo le parti burocratiche, logistiche e finanziarie dei contratti service). Questo include manuali e method-statements dettagliati, procedure di risoluzione dei problemi e l’accesso (H24) a un team su turni di supporto tecnico dalla casa madre in grado di fornire assistenza in tempo reale. Un organizzazione di supporto ben strutturata contribuisce in modo significativo alla serviceability dei sistemi.

Strumenti di Diagnostica Avanzati: Per risolvere i problemi in modo efficace, i tecnici di field service necessitano di strumenti di diagnostica avanzati (esempio banale: strumenti di diagnostica per Fieldbus..). Questi strumenti consentono loro di identificare rapidamente il problema, riducendo i tempi di fermo e i costi associati.

Aggiornamenti e Patch Semplificati: I tecnici di field service sono spesso responsabili di applicare aggiornamenti e patch ai sistemi in loco. La semplificazione di questo processo è essenziale. I sistemi che consentono agli aggiornamenti di essere applicati senza richiedere una conoscenza tecnica profonda sono estremamente apprezzati (e che permettano inoltre un facile roll-back nel caso l’aggiornamento non vada a buon fine).

Supporto Remoto: La capacità di ricevere supporto remoto da esperti dell’ingegneria di prodotto è un vantaggio significativo per i tecnici di field service. Questo consente loro di affrontare i problemi in tempo reale con più sicurezza e competenza, riducendo al minimo i tempi di fermo. Gli strumenti di controllo remoto (telepresenza/teleassistenza) e l’accesso ai dati in tempo reale sono inestimabili.

Componenti Sostituibili Rapidamente: La serviceability implica la facilità con cui i componenti possono essere sostituiti in loco (oltre alla possibilità di accedere agevolmente a punti di misura per eventuali diagnostiche con oscilloscopio e/o altra stumentazione elettrica/elettronica da campo).

Documentazione Chiara ed Utile: I manuali e la documentazione associati ai sistemi d’automazione industriale dovrebbero essere chiari e dettagliati (non solo una raccolta di disclaimers lato direttiva macchine, utili solo per un ufficio legale). Questa documentazione è uno strumento essenziale per i tecnici di field service e contribuisce in modo significativo alla serviceability.

Feedback dei Tecnici: La voce dei tecnici di field service è preziosa per migliorare la serviceability dei sistemi. Il feedback diretto da chi lavora quotidianamente con i sistemi in loco può portare a miglioramenti significativi (evitiamo le crescenti frizioni tra reparti service post-vendita, ingegneria e commerciale, come sempre più accade).

In conclusione, il punto di vista dei tecnici di field service è fondamentale per comprendere come rendere i sistemi d’automazione industriale software-intensive più serviceable. L’attenzione alle loro esigenze e alle sfide che affrontano quotidianamente può contribuire a sviluppare sistemi più affidabili, facili da mantenere e in grado di ottimizzare le operazioni industriali. La collaborazione tra i progettisti professionisti dell’automazione industriale e i tecnici di field service (e aggiungiamo anche dei manutentori degli end-user) è essenziale per il corretto funzionamento nel tempo di questi sistemi.

Il valore insostituibile dei tecnici di field service come ambasciatori del service post vendita industriale

Nel comparto altamente competitivo delle applicazioni per l’automazione industriale, della conversione statica di potenza (settore in forte crescita grazie ai piani EU Green per l’elettrificazione ed idrogeno) e dei beni strumentali industriali, dove innovazione, qualità e affidabilità dei prodotti richiedono ingenti e continui sforzi economici, (nonostante i volumi di fatturato e le marginalità siano sempre più sotto pressione) il service post vendita assume un ruolo strategico di crescente importanza.

Oltre alla fornitura di componenti, sistemi, equipaggiamenti, macchinari e attrezzature all’avanguardia, le aziende “lungimiranti” si stanno concentrando sempre di più sulla creazione di relazioni di fiducia e sulla soddisfazione del cliente a lungo termine (obiettivo che con la sola propria forza vendita tradizionale sta diventando sempre più difficile da attuare). In questo contesto, i tecnici di field service sono diventati un prezioso punto di riferimento e, al tempo stesso buoni venditori di contratti service e ricambistica.

In questo post, esplorerò sinteticamente (il tema è molto più ampio, complesso ed articolato) il motivo per cui i tecnici di field service sono fondamentali anche per il “successo commerciale” del servizio post vendita industriale.

I tecnici di field service (in particolare quelli senior) rappresentano la perfetta combinazione di conoscenze tecniche approfondite e capacità di comunicazione eccezionali. Sono gli esperti sul campo che conoscono a fondo i prodotti, tecnologie dell’OEM per il quale da anni lavorano, ma soprattutto gli ambiti di utilizzo (e i relativi limiti-problemi) presso i clienti finali e possono risolvere efficacemente molti dei loro problemi funzionali, manutentivi e produttivi. Questa competenza tecnica consente loro di fornire un supporto ad elevato valore aggiunto, perchè mirato, rapido ed efficiente, facendo risparmiare tempo e denaro ai clienti (o in certi casi aumentando anche la produttività-affidabilità delle linee-processi produttivi/manifatturieri).

Grazie alla loro vasta esperienza e alla familiarità con i prodotti supportati in campo, i tecnici di field service sono in grado di promuovere, illustrare in modo convincente i benefici dei contratti per i “servizi tecnici” oltre all’acquisto della ricambistica originale.

La fiducia è un elemento essenziale in qualsiasi relazione commerciale di successo, e i tecnici di field service più capaci e performanti sono soliti guadagnarsi la fiducia dei clienti attraverso la loro professionalità, la competenza e l’impegno per una risoluzione rapida dei problemi (sarà capitato a tutti i gestori del post-vendita sentirsi richiedere dal cliente sempre e solo quel tecnico particolare per ogni intervento). Poiché lavorano a stretto contatto con i clienti sul campo (a volte per settimane o mesi come nel caso delle messe in servizio più complesse), sviluppano relazioni personali e instaurano un rapporto di fiducia, diventando così i migliori ambasciatori degli OEMs. Questa fiducia è fondamentale per convincere i clienti ad adottare contratti di service a lungo termine e a preferire i prodotti di ricambio originali rispetto a quelli di terze parti.

Questo perchè i tecnici di field service sono i primi a rendersi conto dei vantaggi dei contratti di service a lungo termine e dell’utilizzo di ricambi originali. Essendo direttamente coinvolti nella messa in servizio, ricerca guasti, manutenzione e in certi casi anche nella riparazione dei prodotti. Sono pertanto i primi testimoni delle conseguenze di una manutenzione insufficiente o di ricambi di bassa qualità. Questa consapevolezza li porta a promuovere attivamente i contratti di service e l’utilizzo dei ricambi originali come una soluzione preventiva per evitare costosi guasti o interruzioni della produzione (oltre a ridurre i loro viaggi per interventi in emergenza, che sono quasi sempre un fastidio per lo stesso tecnico di field…..). La loro influenza sulle decisioni di acquisto dei clienti è inestimabile, poiché possono fornire testimonianze concrete dei benefici tangibili derivanti dall’adesione a contratti di service estesi e strutturati.

Per garantire che i tecnici di field service siano costantemente all’avanguardia e in grado di fornire il miglior supporto possibile ai clienti, è però necessario investire in un programma di formazione continua e raccogliere il loro prezioso feed-back dal campo, anche e soprattutto quando l’asset avviato, manutenuto presenta ricorrenti-cronici difetti funzionali (suggerisco sempre di farli accedere al CRM aziendale in modo da integrare e scambiare il loro know-how con il team commerciale service) . La tecnologia e le innovazioni industriali avanzano rapidamente, e i tecnici devono essere preparati ad affrontare le sfide emergenti. La formazione continua non solo li mantiene aggiornati sulle ultime tecnologie, ma migliora anche le loro competenze di vendita e comunicazione. Questo li abilita e li rende maggiormente sicuri nel promuovere in modo convincente il service e la ricambistica originale come parte integrante del pacchetto di assistenza post vendita.

Nella moderna strategia di service post vendita industriale, i tecnici di field service ricoprono un ruolo cruciale come ambasciatori del marchio (l’OEM tradizionalmente prodotto-centrico deve comprendere che al mercato non solo è più sufficiente mostrare capacità ingegneristica e produttiva, se poi il service è sotto dimensionato o peggio inadeguato). La competenza tecnica del reparto service, la fiducia guadagnata attraverso relazioni di lungo termine con i clienti, la promozione attiva dei contratti di service e l’utilizzo della ricambistica originale sono fattori determinanti per il successo a lungo termine delle aziende produttrici di beni strumentali industriali.

Riconosciamo pertanto il valore insostituibile dei tecnici di field service e continuiamo a investire nella loro formazione (anche di stampo commerciale) e sviluppo, poiché questo equivale ad aumentare la soddisfazione dei clienti e il successo del business.

Safety-First!

Di tanto in tanto, in qualche post sul service industriale, mi piace lasciare qualche piccolo ‘Tips’ lato HSE (chi ha lavorato in particolare nelle commesse USA/Japan sarà abituato sin dagli anni 90 ai famosi “Workplace/Safety-First Tips” di fine riunione)

Per non incorrere in operazioni-manovre potenzialmente rischiose in campo-cantiere, le aziende devono sempre affidarsi al vecchio adagio “ad ognuno il proprio mestiere” evitando di deputare (per urgenze e/o savings economici) tecnici di field service con prevalente esperienza-competenza nel digitale (discipline elettroniche, elettriche-segnali, sistemistiche, software) ad operazioni di esecuzione, coordinamento, supervisione (ricoprendo così senza i necessari requisiti di idoneità anche i delicati ruoli di preposto) per lavori di montaggio (dove sono richiesti muletti, carri ponte, gru, PLE) e cablaggi di potenza.

**P.S. leggendo alcuni annunci di lavoro su LinkedIn per elettronici-meccatronici-elettromeccanici industriali junior il mercato del lavoro sembra purtroppo (lato HSE e qualità del lavoro) andare nella direzione opposta, visto che si ricercano anche singoli-giovani tecnici con competenze unificate da montatore-aggiustatore meccanico, elettricista cablatore, sistemista-programmatore PLC. Tali professionisti naturalmente esistono, sono rari e sono il più delle volte dei senior con una decina d’anni di trasferte in campo-cantiere e/o attività manutentiva di fabbrica-impianto alle spalle

Stesso discorso con i ruoli al contrario. E’ potenzialmente rischioso avvalersi di esperti montatori meccanici e cablatori elettrici incaricandoli (senza le necessarie competenze) di effettuare, coordinare, supervisionare lavori (che presuppongono l’energizzazione dei quadri elettrici ed il movimento manuale anche parziale di organi automatici degli equipaggiamenti) di collaudo, pre-commissioning, commissioning, assistenze tecniche, manutenzioni specialistiche.

**P.S. anche se noto a tutti gli operatori dell’industria, ricordo che tra bassa tensione (BT) e media tensione (MT) non c’è diretta-immediata intercambiabilità professionale (in particolare nel passaggio tra BT e MT) se non dietro estensivo specifico addestramento teorico-pratico ed idonea esperienza in affiancamento

Per i non addetti ai lavori, i tecnici di field service (i famosi trasfertisti operai, tecnici, periti, ingegneri) non sono figure tecniche intercambiabili-secondarie-marginali, ma seri e validi professionisti (dotati spesso di una specifica specializzazione/verticalità) che per operare autonomamente ed in solitario (spesso dall’altra parte del pianeta, in nazioni disagiate e senza il supporto di prossimità dell’azienda per la quale lavorano), hanno saputo negli anni apprendere (quasi sempre On-the-Job), distillare e concentrare le necessarie competenze tecniche-ingegneristiche multi-disciplinari necessarie a collaudare, avviare, riparare, manutenere complessi sistemi-equipaggiamenti progettati da diversi uffici d’ingegneria applicativa (meccanica, elettrica, elettromeccanica, elettronica, sistemi, R&D, etc.)